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mercoledì 25 settembre 2013

E se l'operatore si coinvolge affettivamente nelle relazioni d'aiuto? (Y si el operador se involucra afectivamente en las relaciones de ayuda?)




Mi sono chiesto più volte, cos'è che può spingere un operatore del sociale ad utilizzare il proprio ruolo d'aiuto per tentare di "colmare" le proprie esigenze affettive sentimentali attraverso il rapporto con i suoi assistiti, designando la persona bersaglio, dalla sua posizione "privilegiata" come professionista dell'aiuto? Vi è una vittima e un carnefice? 
In effetti, avere a che fare in contesti educativi/riabilitativi, con persone adulte(uomini e donne) cronicamente abituate e rassegnate alla loro storica identità da individui dipendenti, inaffidabili, fragili e impulsivi (che continuano a mettere in atto il loro ampio repertorio di modalità e strategie relazionali con cui provano a sfruttare ogni spazio di relazione che confermi e soddisfi le proprie pretese e desideri), ahimé non poche volte per chi ci lavora come operatore, possono rappresentare paradossalmente l'ipotetica scoperta di una opportunità di completamento affettivo e di redenzione personali.
I vissuti che creano dei legami prima empatici e salvifici, poi di simpatia e sentimentali sono una variabile fortemente presente in ogni contesto d'aiuto fra gli operatori del settore. Succede tutti i giorni, sotto diverse forme e con svariati risultati.
Sembrerebbe che il bagaglio di emozioni con cui  gli operatori si confrontano con racconti di esperienze di fallimento personale, sofferenza e abbandono, stimolino in loro una simpatia che potrebbe favorire un rapporto pseudo paritario con l'assistito(a). In tale senso le emozioni compiono un valore adattivo bis a bis narrazioni di vite mai vissute; esso avviene attraverso una curiosità semplicistica che condiziona pesantemente lo svolgimento del proprio ruolo professionale. Da quel momento in poi le emozioni potrebbero avere valore genetico cioé essere in grado di generare nuove strutture di conoscenza e di relazione a seconda di quelle che sono le aspettative, motivazioni e fragilità del operatore in causa.

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Me he preguntado muchas veces, qué es lo que empuja un operador del social a utilizar su rol de ayuda para intentar "colmar" sus exigencias afectivas sentimentales a través de la relaciòn con sus asistidos, designando la persona blanco, desde su posiciòn "privilegiada" como profesional de la ayuda? Quién es la victima y quién el verdugo?
Efectivamente, estar a contacto en contextos educativos/rehabilitativos, con personas adultas(hombres y mujeres) cronicamente acostumbrados y resignados a su historica identidad como individuos dependientes, no fiables, fràgiles e impulsivos (que continuan a utilizar su amplio repertorio de modalidades y estrategias relacionales con que prueban a utilizar cualquier espacio de relaciòn que confirme y satisfaga sus pretensiones y deseos), desgraciademente no pocas veces para quien trabaja como operador,  pueden representar paradojalmente el descubrimiento de una hipotética oportunidad de completamiento afectivo y de redenciòn personal.
Las vivencias que crean vinculos, primero empaticos y salvificos luego de simpatia y sentimentales, son una variable muy presente en todo contexto de ayuda entre los operadores del sector. Sucede todos los dias, con distintas formas y con resultados mùltiples.
Pareceria que el bagaje de emociones con el cual los operadores se confrontan a las historias de experiencias de fracaso personal, sufrimiento y abandono, estimulen en ellos una simpatia que podria favorecer una relacion pseudo paritaria con el/la asistido. En ese sentido las emociones cumplen un valor adaptativo frente a las narraciones de vidas jamàs vividas; ello sucede recurriendo a una curiosidad simplistica, que condiciona fuertemente el desenvolvimiento del propio rol profesional. Desde aquel momento las emociones podrian tener un valor genético, es decir, ser en grado de generar nuevas estructuras de conocimiento y de relaciòn segun las expectativas, motivaciones y fragilidades del operador en causa.

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