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venerdì 19 settembre 2014

Se a difendere il carnefice è la vittima stessa... (Si en defensa del verdugo sale la victima misma...)


Diceva il titolare del giornale, il suo partner la picchiava e la polizia dovette intervenire per fermarlo, e lei.... reagì aggredendo coloro che erano venuti a proteggerla. Un comportamento apparentemente paradossale quello della donna, che può destare delle perplessità a chi da osservatore esterno giudica come incomprensibile  tale reazione inaspettata, per la sua esplicita illogicità. 
Ciò che non sapeva il giornalista che raccontava l'episodio è che il rapporto di coppia, in generale, è l'esempio per eccellenza di quelle relazioni ad intenso coinvolgimento affettivo, nelle quali si creano dei vincoli stretti in grado di dare un senso e un'identità a coloro che ne fanno parte. In effetti, in genere si dice che nel tempo, i membri di una coppia tendono reciprocamente a fare proprie molte delle modalità e degli stili di comunicazione del partner, imitandogli e/o amplificando una loro complementarietà; essa a sua volta incoraggia e consolida lo scambio complessivo tra i componenti del rapporto. Così, per via di questo processo condiviso attivo di conoscenza e di mimesi  nei rapporti di coppie, le persone costruiscono una loro identità che può avere la potenza di organizzare il modo con cui ognuno interagisce (sia dentro che fuori dalla coppia). Non solo, in questo contesto relazionale di intenso scambio e di complementarietà reciproche, quel processo costruisce ciò che viene chiamata "l'identità di ogni coppia" secondo la quale ogni membro del rapporto contribuisce implicitamente o esplicitamente a mettere in piedi quelle caratteristiche che identificano e differenziano ogni coppia dalle altre.
Ma cosa succede in quei rapporti di coppie in cui subentrano dei comportamenti aggressivi e violenti e dei quali non è possibile liberarsene? Come mai essere annientato dal maltrattamento che proviene dal proprio partner non sempre è un potente e decisivo stimolo che spinge a lasciare il campo, per salvare la propria pelle?
Ricordiamo innanzitutto che i rapporti di coppia basano la loro dinamica di scambio e continuità sulla loro prevedibilità relazionale (so cosa posso aspettarme da lui/lei e viciversa). Essa può favorire il consolidamento di quella complementarietà originaria ricercata e a partire dalla quale le persone inizialmente si scelsero.
Secondo l'osservazione clinica delle relazioni disfunzionali e patologiche, sembrerebbe che sono i così detti carnefici o persecutori coloro che hanno il ruolo attivo nella ricerca e selezione del partner, come se ci fosse la necessità di individuare qualcuno con chi poter mettere in motto una dinamica relazionale di dominanza, che nella peggiore delle ipotesi può comportare l'avvio di comportamenti violenti. Così, nei rapporti eterosessuali, ad un persecutore (generalmente sono uomini) egocentrico, dominatore, impulsivo e con un io ipertrofico, corrisponderebbe una persona (generalmente sono donne) insicura, ipersensibile, pasiva, con scarsa autostima e capace di sopportare. Ecco perché si dice che nell'ambito di quelle relazioni che favoriscono la reiterazione ciclica di comportamenti violenti e il loro conseguente consolidamento, esistano delle collusioni che contribuiscono ad alimentare quella tipologia di circuiti relazionali viziosi (i quali a volte addiritura possono tradursi in manovre non gestibili, che possono essere generatrici di atti criminali). Altro non sono che un "gioco" condiviso dietro il quale vi è l'illusione/aspettativa di poter essere vincitori, e che sottintendono diversi livelli di ambiguità e di frustrazione da ambe le parti.
E' come se venisse stimolato un gioco appunto, in cui ci si è maledettamente incastrati dentro ed è difficile uscirne; coloro che, arrivando dall'esterno pretendono interromperlo, possono essere affrontati come delle presenze invadenti e indesiderate, anche da parte di chi rischia pesantemente la propria incolumità nel seno di una tale relazione (come si evince dalla cronaca giornalistica riguardo il comportamento della donna maltrattata a cui facevamo riferimento nel paragrafo iniziale).


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Decia el titular del periodico, su pareja la golpeava y la policia tuvo que intervenir para detenerlo, y ella ... reaccionó agrediendo a quienes habian llegado para protegerla. Un comportamiento aparentemente paradojal el de la mujer, que puede desencadenar perplejidad en quién como observador externo juzga incompresible esta reacción inesperada, por su explicito contenido ilógico.
Lo que no sabia el periodista che contaba el episodio, es que la relación de pareja representa el ejemplo por excelencia de aquellas relaciones con intenso involucramiento afectivo, en las cuales se creano vinculos estrechos en grado de dar un sentido e una identidad a quienes hacen parte de él. Efectivamente, en general se dice que en el tiempo, los miembros de una pareja tienden reciprocamente a hacer propias muchas de las modalidades y de los estilos de comunicación del conyugue, imitándolos y/o incrementando aquello que los complementa; ésto a su vez estimula y consolida el intercambio global entre los componentes de la relación. Es asi que a través de este proceso compartido di conocimiento y mímesis activo en toda relación de pareja, las personas construyen su identidad que puede tener la potencia de organizar el modo con el cual cada uno interactua (sea dentro que fuera de la pareja). No solo, en este contexto relacional de cambio intenso y de complementariedades reciprocas, este proceso construye lo que viene conocido como "la identidad de la pareja" según la cual cada miembro integrante de la relación contribuye implicitamente o explicitamente a poner en pié aquellas caracteristicas que identifican y diferencian cada pareja de las otras.
¿Pero, qué sucede en aquellas relaciones de pareja en las que se explicitan comportamientos agresivos y violentos pero de las cuales no es posible liberarse?,¿cómo asi ser destruido por el maltrato que proviene de la pareja no siempre es un poderoso y decisivo estimulo que empuja a dejar la relación, para salvar la piel?
Recordemos antes que nada, que las relaciones de pareja basan sus dinámicas de intercambio y continuidad a partir de la prevedibilidad relacional (sé que puedo esperarme de él/ella y viceversa).Ello puede favorecer la consolidaciòn de aquella complementariedad original buscada y a partir de la cual las personas inicialmente se escogieron.
Según la observación clinica de las relaciones disfuncionales y patológicas, pareceria que son los asi llamados verdugos o perseguidores quienes tienen un rol activo en la búsqueda y selección de la pareja, como si tuviesen la necesidad de encontrar alguien con quien poder iniciar una dinamica de relación de dominación, que en la peor de las hipotesis puede concretizar la activación de comportamientos violentos. Es asì que en las relaciones heterosexuales, a un perseguidor (generalmente son hombres) egocentrico, dominador, impulsivo y con un yo hipertrofico, corresponderia una persona (generalmente son mujeres) inseguras, hipersensibles, pasivas, con poca autoestima y capaz de soportar. Es por ello que se dice que en el ámbito de aquellas relaciones que favorecen reiterativamente los comportamientos violentos y su consecuente consolidación, existen unas colusiones que contribuyen a alimentar aquella tipologia de circuitos relacionales viciosos (los cuales a veces pueden traducirse en maniobras no controlables, que pueden llegar a ser generadoras de actos criminales). No son otra cosa que un "juego" compartido detras del cual existe la ilusión/expectativa de poder ser vencedores, y que implicitamente involucran diferentes niveles de ambiguedad y de frustración por ambos lados.
Es como si fuera estimulado un juego,en el cual las personas se encuentran malditamente encastradas  y del cual les es dificil poder salir. Aquellos que llegando del externo pretenden interrumpir el juego, pueden ser afrontados como presencias invasivas e indeseadas, incluso de parte de quien arriesga su propia incolumidad en el seno de una tal relaciòn (como evidencia la cronica periodistica acerca del comportamiento de la mujer maltratada, a la cual haciamos referencia en el parrafo iniciale).












giovedì 28 agosto 2014

Il sortilegio in politica e l’ideologia del nulla: tristi espressioni del pensiero acritico ( El hechizo en politica y la ideologia del vacio: tristes manifestaciones del pensamiento acritico)




Qualche giorno fa, un noto leader politico conservatore italiano fece delle dichiarazioni piuttosto sbalorditive. In poche parole, questo pittoresco personaggio si lamentava di esser stato segnato da un congetturato sortilegio (secondo lui, per opera di coloro che proteggevano dalle sue parole offensive, il “nemico” politico da lui fortemente insultato in precedenza).
Denotando la propria ignoranza sul argomento e un penoso stato di confusione mentale (e di pensiero), parlava di un ipotetico rituale di “macumba” subito e del suo bisogno di essere aiutato dall’esorcismo, come se si trattasse di pratiche e di rituali che si corrispondessero (non solo a livello logico ma anche dal punto di vista delle cosmovisioni e dei principi magico religiosi sottostanti), sollecitando l’aiuto di un “esperto” in materia. Sarebbe come, da un’altra prospettiva di cura, volere combattere il mal di testa facendo una cura per un’infezione intestinale.
Sempre secondo lui la presumibile influenza maligna l’avrebbe condannato a vivere, nell’arco di un breve periodo di tempo, una catena di svariati eventi malaugurati di indoli diversi nella sua vita privata, l’ultimo dei quali era stato la presenza di un serpente in casa sua che lui aveva trucidato e per questo motivo era stato anche denunciato, trattandosi di una specie protetta.   
“Non ci far litigare” –disse la Regina Bianca con tono ansioso- “Qual è la causa del lampo?”
“La causa del lampo” –disse risolutamente Alice, perché ne era quasi certa- “è il tuono… no, no” –si corresse in fretta- “volevo dire viceversa…”. “E’ troppo tardi per correggersi” –disse la Regina Rossa- “quando hai detto una cosa, è così e ne devi subire le conseguenze”.
Ecco, porsi domande, auto riflettere, cercare delle risposte, fanno parte del processo continuo del nostro vivere la vita, è la modalità attraverso la quale cerchiamo di capire la complessità delle nostre esistenze e per fare in modo che le nostre vite traducano e rispecchino il tentativo  del vivere di ognuno sulla base di ciò che decidiamo abbia valore. Questo processo riflessivo continuo ha necessariamente degli effetti, delle conseguenze, sulle nostre vite e quindi su ciò che noi facciamo. Percepiamo attraverso le inferenze e deduzioni che a loro volta ci inducono a trarre delle conclusioni che confermano i nostri principi esplicativi costituendo un cerchio cognitivo e di scelte decisionali continuo. Sta a noi fare si che la circolarità dei nostri ragionamenti sia in grado di avviare processi di pensiero e di azione virtuosi aperti a livelli logici in grado ogni volta di più di raggiungere prospettive più elaborate di analisi e di comprensione.
Quel noto politico ingenuamente, con le sue parole ha messo in evidenza la sua scarsa consapevolezza riguardo ciò che lui stesso contribuisce a costruire nel suo rapporto con la realtà circostante attraverso il proprio pensiero acritico e semplicistico : un susseguirsi di sciagurate affermazioni che lo costringono (inesorabilmente), a vivere in una realtà impoverita da luoghi comuni e costruita a partire da stereotipi ideologici autoreferenziali, da pregiudizi etnocentrici (molti di essi carichi di violenza e aggressività). In effetti, nel suo mondo (e ovviamente anche di quello dei suoi seguaci) non vi è spazio per l’apertura e l’onesta dei sentimenti verso i così detti “diversi” ma solo per il compiacimento del pensiero unico omogeneo; scarsamente consapevole della propria povertà intellettuale, per niente empatico e incapace di osservare ciò che accade in torno a loro stessi.
Un pensiero politico che pretende fare una diagnosi della realtà partendo dall’ignoranza dei propri pregiudizi, anzi avvalendosi inconsapevolmente di essi, non è altro che una politica vuota fatta da costrutti inventati arbitrariamente a partire dal pensiero banale e sciatto, non critico e non creativo. Esso può soltanto comportare l’impossibilità costitutiva di non essere mai in grado di trovare migliori modi di pensare per migliorare la vita in società. 



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Hacen algunos dias, un conocido lider politico conservador italiano hizo unas declaraciones sorprendentes. En pocas palabras, éste personaje pintoresco se lamentaba de haber sido marcado por un supuesto embrujo (según él por obra de aquellos que han protegido de sus palabras ofensivas, al “enemigo” politico que él mismo habia precedentemente ofendido).
Haciendo ver su ignorancia acerca del tema y un penoso estado de confusión mental (y de pensamiento), hablaba de un improbabile ritual de “macumba” y acerca de la necesidad de ser ayudado por intermedio del esorcismo, como si se tratase de practicas y rituales equivalentes (no solo del punto de vista lógico sino también de cosmovisiones analogas con principios magico religiosos similes), solicitando  la ayuda de un “experto” en la materia. Seria como si desde otra perspectiva de cura, se quisiera combatir una cefalea haciendo una cura para una infección intestinal.
Sempre según él mismo, la presunta influencia maligna lo habria condenado a vivir, en un breve espacio de tiempo, una cadena de diversos malaventurados eventos en su vida privada, el último de los cuales habria sido la visita de un serpente en su casa, que habia matado y por lo cual habia sido denunciado por tratarse de una specie protegida.
“No nos hagas pelear” dijo la Reina Blanca en tono ansioso – “¿Cual es la causa del relámpago?”
“La causa del relámpago” –dijo resueltamente Alicia, porque era casi convencida- “es el trueno, no, no….”  -si corrigió apresuradamente-  “queria decir al contrario…” “Es demasiado tarde para corregirte” –dijo la Reina Roja-  cuando has dicho una cosa es asi y debes sufrir las consecuencias de ello.”
Exactamente, ponerse preguntas, auto reflexionar, buscar respuestas, hacen parte del proceso continuo de nuestro vivir la vida, es la modalidad con la cual tratamos de entender la complejidad de nuestras existencias y hacer en modo que nuestras vidas traduzcan y reflejen el tentativo de cada uno de vivir en base a aquello que tiene valor para nosotros. Este proceso reflexivo continuo provoca necessariamente efectos, consecuencias, sobre nuestras vidas y por ende sobre lo que hacemos.
Percibimos a través de las inferencias y deducciones que a su vez nos inducen a costruir conclusiones que confirmen nuestros principios explicativos constituyendo un circulo cognitivo y de elecciones decisionales continuo. Dependerà de nosotros hacer que la circularidad de nuestros razonamientos sea capaz de estimular procesos de pensamiento y de acción virtuosos abiertos a niveles lógicos en grado cada vez más de alcanzar prospectivas más elaboradas de análisis y de comprensión.
Aquel conocido politico ingenuamente, con sus palabras ha puesto en evidenzia su escasa conciencia acerca de lo que él mismo es capaz de poner en pié en su relación con la realidad circundante a través de su mismo pensamento acritico y simplista: una cadena de desafortunadas afirmaciones que lo costringen (inexorablemente) a vivir en una realidad pauperizada por lugares comunes construidos desde estereotipos ideologicos autoreferenciales, por prejuicios etnocéntricos (muchos de ellos cargados de violencia y agresividad). En efecto, en su mundo (y obviamente también del de sus seguidores) no hay espacio para la apertura y la honestidad de los sentimientos hacia los asi llamados « diferentes » sino solo para el complacimiento respecto al pensamiento unico y homogeneo ; con escasa conciencia de la propia pobreza intelectual, para nada empático incapaz de observar lo que succede alrededor de ellos mismos.
Un pensamiento politico que pretende cumplir un diagnostico de la realidad a partir de la ignorancia de sus propios prejuicios, o mas bien sirviéndose de ellos, no es otra que una politica vacia hecha en base a constructos inventados arbitrariamente desde el pensamiento banal y chato, no critico y no creativo. Ello puede solo comportar la imposibilidad constitutiva de no poder ser capaz jamás de encontrar mejores modos de pensar para mejorar la vida en sociedad.

sabato 2 agosto 2014

Cosa sono le dipendenze dal virtuale? (¿Qué cosa son las dependencias del virtual?)




L’Hikikomori è una sindrome studiata nella popolazione degli adolescenti in Giappone, che etimologicamente  significa “mi ritiro”. Si caratterizza dal fatto che il ragazzo che ne è affetto costruisce un rapporto esclusivo con le realtà virtuali di Internet e dei videogiochi o la televisione, all’interno delle quattro mura della propria abitazione dove cerca un rifugio protettivo (anche rispetto ai propri familiari).
Sembrerebbe che tra i giovanissimi, nelle sue forme più gravi, esse siano legate ad un disagio vissuto in età adolescenziale (e anche durante la pubertà) in ambito relazionale, probabilmente stimolato da contesti sociali altamente competitivi o anche violenti. “Tutti mi prendono in giro…”; “non riesco ad andare d’accordo con gli altri…”; “sono stato minacciato più volte..”; sono alcune delle frasi con cui spesso tendono a giustificare la propria chiusura verso il sociale. Quindi, l’auto percezione di fragilità da parte del ragazzo o ragazza, oppure la sua incapacità a tollerare dei livelli alti di stress in ambiti interpersonali, favorirebbero l’auto esclusione. La motivazione sottostante sarebbe in molti casi, la percezione di avere a che fare con rapporti e contesti nei confronti dei quali vi è un senso di soggezione, inadeguatezza o impreparazione, che penalizza drammaticamente la loro vita di relazione.
In età giovanile, è riscontrabile anche fra coloro che si trovano a subire condizioni di vita di grossa difficoltà familiare o sociale come possono essere quelle delle persone sole, dei disoccupati, di coloro che sono in cassa integrazione o con delle difficoltà intra familiari. In questi casi, gli specialisti preferiscono parlare di un rapporto patologico con le tecnologie della comunicazione. Questa tipologia di rapporto, può avere una precisa durata di tempo (alcuni mesi), una discontinua che in genere finisce per esaurirsi nella misura in cui il soggetto stesso modifica il comportamento additivo, uscendone. Per alcuni è necessario non rinnovare l’abbonamento internet, come una strategia estrema di interruzione del comportamento ossessivo.
Il carattere compulsivo del comportamento, insito alle dipendenze, può associarsi a tutte le varianti potenzialmente gratificanti di cui è in grado attualmente di offrire lo spazio virtuale: il gioco d’azzardo on line, i giochi di ruolo on line, gli acquisti on line compulsivo, il sesso virtuale, le relazioni via chat rooms, ecc. Questa nuova tipologia di dipendenza è frequentemente associata a sintomatologie depressive e ossessivo compulsive. Comunque si può parlare di un vero e proprio comportamento psicopatologico, di dipendenza appunto, dal momento in cui diviene coattivo, ripetitivo che stimola il “craving” (desiderio forte). 
L’uso consapevole, equilibrato e razionale del mezzo (di informazione e di comunicazione) dipende dalla capacità del utente per trovare un equilibrio tra la concretezza di ciò che avviene nel mondo reale e le possibilità apparentemente infinite del mondo virtuale. Questa equilibrio può essere la premessa a partire dalla quale fare sì che il mezzo si adatti alle nostre esigenze di trovare nuovi strumenti che ci aiutino ad affrontare meglio una realtà sociale sempre più complessa e imprevedibile.


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El Hikikomori es un sindrome estudiado entre la población de adolecentes del Japón, que etimologicamente significa “me retiro” . Se caracteriza por el hecho que el chico que ha sido afectado se construye una relación exclusiva con las realidades virtuales de Internet y de los videojuegos o de la televisión, dentro de las cuatro paredes de su casa en donde busca un refugio protector (también respecto a sus familiares).
Pareceria que entre los más jovenes, sus formas más graves, estén ligadas a un malestar psicológico vivido durante la adolescencia (y también durante la pubertad) en ámbito relacional, probablemente estimulado por contextos sociales muy competitivos o violentos. “Todos se rien de mi…”; “no logro ir de acuerdo con los demás…”; “he sido amenazado varias veces…”; son algunas de las frases con las cuales tienden a justificar el proprio cierre frente al social. Por lo tanto, la autopercepción de fragilidad por parte del chico o de la chica, o sino su incapacidad a tolerar niveles altos de stress en ámbitos interpersonales, favorecerian su auto exclusión. La motivación subyacente seria en muchos casos, la percepción de tener que afrontar relaciones y contextos frente a los cuales existe un sentido de sumisión, inadecuación o impreparación, que castigan drammaticamente sus vidas de relación.
En edad juvenil, se le encuentra también entre quienes viven condiciones de vida de fuerte dificultad familiar o social, como pueden ser aquellas de personas solas, de los desocupados, de aquellos que están en el Fondo de Garantia Salarial o que tienen dificultades intra familiares. En estos casos, los especialistas prefieren hablar de una relación patológica con las tecnologias de las comunicaciones. Esta tipologia de relación puede tener una precisa duración de tempo (algunos meses), una discontinuidad que generalmente termina por extinguirse en la medida en que el sujeto mismo modifica el comportameiento adictivo, dejandolo. Para algunos es necessario no renovar el abono internet, como estrategia estrema de interrupción del comportamento obsesivo.
El carácter compulsivo del comportamento, proprio de las dependencias, puede asociarse a todas las variantes potenzialmente gratificantes que actualmente es capaz de ofrecer el espacio virtual: el juego de azar on line, los juegos de roles on line, las compras compulsivas on line, el sexo virtual, las relaciones en chat rooms, etc. Esta nueva tipologia de dependencia está frequentemente asociada a sintomatologias depresivas y obsesivo compulsivas. De cualquier forma, se puede hablar de un verdadero comportamiento psicopatologico, de dependencia, desde el momento en el cual deviene coactivo, ripetitivo que estimula el “craving” (deseo fuerte”).
El uso conciente, equilibrado y racional del medio, depende de la capacidad del usuario en encontrar un equilibrio entre la concretitud de lo que succede en el mundo real y las posibilidades aparentemente infinitas del mundo virtual. Este equilibrio puede ser la premisa a partir de la cual hacer que el medio (de información y de comunicación), se adapte a nuestras exigencias por encontrar nuevos instrumentos que nos ayuden a afrontar mejor una realidad social cada vez más compleja e imprevedible.




giovedì 26 giugno 2014

E’ possibile vivere malgrado quei dolori lancinanti? (¿Es posible vivir a pesar de aquellos dolores lancinantes?)



L’altro giorno arrivò alla mia buca delle lettere una "pubblicità" lasciata dai “procacciatori di salvezza porta a porta”,  in cui si proponeva provocatoriamente la   domanda "smetteremo mai di soffrire?” Come se nella vita vi  fossero delle situazioni tali, che in quanto esperienze tragiche e inaspettate, potessero in senso fatalistico, soltanto elicitare risposte univoche di sofferenza appunto….e pensavo per esempio a situazioni così drammatiche come quelle in cui i genitori sopravvivono ai propri figli, quindi di perdite avvenute per cause tutt’altro che naturali. Quelle perdite così difficili da accettare come per poter affrontarne il senso e passare oltre per ritrovare il flusso vitale e generativo bloccato dalle perdite subite. Come accettare di essere testimoni dei dolori della vita di fronte a vite brevi spezzate da agenti maledettamente imprevisti, circostanziali e uscirne indenni?
Sono vissuti che fanno riferimento a dei significati talmente intimi e privati che a malapena potremmo cogliere finché non fanno parte del bagaglio personale di ognuno di noi (perché il dolore si conosce dalla esperienza). Il dolore e la sofferenza sono emozioni che accompagnano l’esistenza umana e pure a seconda come gli viviamo soggettivamente, a volte ci impedisce di condividerle per poter trasformare l’assenza in ricordo. Scoprire quindi che ambi due sono l’espressione del processo evolutivo insito nel cerchio della vita può farne la differenza. Parafrasando l’autore diremmo che essi sono intrinsecamente legati alla nostra condizione umana, nella quale la morte (che fa parte della vita) è una ferita profonda che guarisce spontaneamente a condizione che non si faccia niente per ritardarne la cicatrizzazione.
Nell’ambito della clinica delle perdite e del lutto vi è il principio secondo il quale la condivisione della sofferenza ci apre alla possibilità di fare quel po’ di chiarezza nel mezzo del buio del dolore lancinante, che ci può aiutare a non perdere la consapevolezza di fare parte comunque di un processo evolutivo più ampio, costante e del quale siamo protagonisti (volenti o nolenti).

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El otro dia llegó a mi buzón de cartas una “publicidad” dejada por unos “proveedores de salvación puerta a puerta”, en la que se proponia provocativamente la pregunta “¿dejaremos alguna vez de sufrir?”. Como si en la vida hubiesen situaciones que como experiencias trágicas e inesperadas, pudiesen en sentido fatalista, solo estimular respuestas univocas , o sea de sufrimiento…. y pensaba por ejemplo a situaciones tan dramáticas como aquellas en las que los padres sobreviven a sus hijos, es decir pérdidas por causas que no son naturales. Aquellas pérdidas tan dificiles de aceptar como para poder afrontar su sentido e ir más allá para retomar el flujo vital y generador bloqueado por las pérdidas mismas. ¿Cómo aceptar ser testigos de los dolores de la vida frente a vidas breves interrumpidas por agentes malditamente imprevistos, circunstanciales e salir indemnes ?
Son vivencias que se refieren a unos significados muy intimos y privados que a duras penas podremos entender mientras que no sean parte de nuestro bagaje personal (por que el dolor se conoce por la experiencia). El dolor y el sufrimiento son emociones que acompañan la existencia humana y sin embargo según cómo los vivimos subjetivamente, a veces nos impide di compartirlos para poder transformar la ausencia en recuerdo. Decubrir que ambos son la expresión del proceso evolutivo inherente al circulo de la vida puede hacer la diferencia. Parafraseando el autor diria que estos están intrinsecamente ligados a nuestra condición humana, en la qual la muerte (que es parte de la vida) es una herida profonda que se sana expontaneamente a condición que no se haga nada que retraze el proceso de cura.
En el ámbito de la clinica de las pérdidas y del luto existe el principio según el cual compartir el sufrimiento nos permite abrirnos a la posibilidad de hacer un poco de claridad en medio a la oscuridad del dolor lancinante, que puede ayudarnos a no perder conciencia de ser parte de un proceso evolutivo mas amplio, constante y del cual  somos protagonistas (queriéndolo o no).


giovedì 15 maggio 2014

Disagio psicologico e ignoranza ecologica : due facce della stessa medaglia epistemologica (Malestar psicologico e ignorancia ecologica: dos caras de la misma medalla epistemològica)

Vi è un ampio accordo diffuso fra i diversi studiosi sul cambiamento verificatosi nel contesto delle psicoterapie sistemiche (riguardo il comportamento umano, le relazioni, le emozioni e le attribuzioni di significati), a proposito delle modalità con le quali gli individui trovano gli strumenti ermeneutici che gli permettono di avviare dei micro processi evolutivi lungo il percorso terapeutico.
L’enfasi viene posta sulla persona dello psicoterapeuta, essendo che lui (lei) innesca non solo delle consapevolezze riguardo come osservare per raccogliere dei dati (e non delle cause esplicative), ma anche sul come apprendere da ciò che emerge da tale processo esplorativo costante, a più livelli. E non solo, anche le domande con cui lo psicoterapeuta acquisisce delle informazioni fanno sì che vengano stabilite delle connessioni dei dati in unità di analisi almeno triadiche (del tipo, "Giovanni parla con Sofia per fare capire a Susanna"…) che mettano in relazione i diversi “pezzi” del puzzle. Ciò a sua volta  rispecchia la complessità delle dinamiche relazionali in gioco, secondo il principio “il complesso spiega il semplice”.
Ecco che l’arte di porre delle domande non banali, dipende in primis da questa ricerca attiva da parte dello psicoterapeuta, per dare spazio ad una narrazione alternativa plausibile in cui non venga fotografata la realtà, ma attraverso la quale ci si aprano delle opzioni inesplorate oltre i vincoli, i pregiudizi e le congetture in cui l’individuo era rimasto impigliato.
Come mai l’ermeneutica che sottende uno sguardo incentrato sulla monade (cause interne) o la dìade (relazione causa-effetto) con cui le persone comuni tendono a decodificare-interpretare-affrontare i dilemmi e le difficoltà presenti nelle le loro vite, possono divenire cause della propria infelicità? Seguendo la logica dell’ analisi pragmatica comparata, basti osservare ciò che a livello dei macro sistemi succede per via dell'ignoranza ecologica con cui dei governi del nostro pianeta (curiosamente, sopra tutto quelli economicamente più potenti) si sono rapportati con l’ambiente lungo i diversi periodi della storia dell’umanità fino ai giorni nostri. Essa sta portando ai suoi abitanti verso delle condizioni di vita minacciata da cambiamenti climatologici e bio sistemici epocali ogni volta più difficili da gestire….fino al punto di rischiare la nostra propria estinzione.
Anche se le motivazioni sottostanti e la natura dei processi impliciti in gioco nel rischio della nostra fine come specie rispetto a quelli impliciti nella sofferenza psicologica degli individui sono molto diversi fra di loro, ambe due le situazioni ci riportano ad avere a che fare con dei sentimenti di impotenza analoghi di fronte a degli effetti indesiderati, che vanno dalla cronicizzazione degli stessi alla collusione accecante rispetto alla complessità dei fenomeni coinvolti, per cui paradossalmente coresponsabile dell’amplificazione degli effetti dannosi osservati.

  

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Existe amplio acuerdo entre los distintos estudiosos del cambio que se verifica en el contexto de las psicoterapias sistémicas (referido al comportamento humano, las relaciones, las emociones y las atribuciones de significados), a proposito de las modalidades a través de las cuales los individuos encuentran los instrumentos hermenéuticos que activen micro procesos evolutivos a lo largo del recorrido terapeutico.
El énfasis se pone en la persona del psicoterapeuta, siendo che él (ella) gatilla la conciencia no solo acerca de còmo observar para recoger datos (en lugar de causas explicativas), sino también acerca de còmo aprender de aquello que emerge de tal proceso exploratorio constante, a varios niveles. Y no solo, también las preguntas con las cuales el psicoterapeuta adquiere informaciones, hacen que se establezcan  conexiones de los datos en unidades de analisis por lo menos triadicas (del tipo, “Juan habla con Sofia para que Susana entienda”…) que ponen en relaciòn los distintos“pedazos”del rompe-cabeza. Ello a su vez refleja la complejidad de las dinamicas relacionales en juego, segùn el principio “la complejidad explica el simple”.
Asì, el arte de poner preguntas no banales, depende en primer lugar de una bùsqueda activa por parte del psicoterapeuta, por dar espacio a una narraciòn alternativa plausibile en la cual la realidad no es fotografiada, sino que a través de aquella se abren opciones no exploradas que van màs allà de los vinculos, los prejuicios y las conjeturas en las que el individuo se habia quedado imprisionado.
¿Còmo asì la hermenéutica que supone una mirada concentrada en la monada (causas internas) o las diadas (relaciòn causa-efecto) con la cual las personas comunes tienden a decodificar-interprentar-enfrentar los dilemas y dificultades presentes en sus vidas, pueden devenir causas de su propia infelicidad?
Siguiendo la lògica del analisis pragmatico comparado, baste observar lo que succede a nivel de los macro sistemas. En razòn de la ignorancia ecologica con la cual muchos gobiernos de nuestro planeta (curiosamente, sobre todo aquellos economicante màs potentes) se han relacionado con el ambiente a lo largo di diversos periodos de la historia de la humanidad hasta nuestros dias, estàn llevando a sus habitantes hacia condiciones de vida amenazada por cambios climatològicos y bio sistémicos epocales cada vez màs dificiles de enfrentar… hasta el punto de arriesgar nuestra propia extinciòn.
Aunque si bien las motivaciones subyacentes y la naturalezza de los procesos implicados en juego en el riesgo de nuestro fin como especie respecto a aquellos implicados en el sufrimiento psicologico de los individuos son muy diferentes entre si, ambas situaciones nos colocan en la posiciòn de provar sentimientos de impotencia frente a unos efectos indeseados anàlogos que van desde la cristalizacion de los mismos a la colusiòn enceguecedora rispecto a la complejidad de los fenomenos involucrados, por lo tanto paradojalmente coresponsable de la amplificaciòn de los efectos dañinos observados.

giovedì 20 marzo 2014

Da genitori a figli: le inferenze che fanno male (De padres a hijos : las inferencias que hacen mal)



Per me, una di quelle esperienze che considero personalmente più frustranti e con cui sono spesso a contatto per il mio lavoro clinico, riguarda il fatto di essere testimone dell’ineluttabilità con cui può essere consolidato e trasmesso il disagio psicologico, diffondendosene a macchia d’olio indisturbato, da una generazione alla altra.
Nella stanza in cui esercito il mio lavoro da psicoterapeutara, tra le tante storie che  mi raccontano della difficoltà di vivere, molte di esse mi mettono a stretto contatto con persone portatrici di narrazioni di vite costruite intorno e a partire dall’abuso di sostanze. Sono perlopiù giovani adulti che provengono da percorsi di infanzie ferite e infelici. Individui che crescono all’interno di processi evolutivi di effetto deformante, nei quali hanno vissuto esperienze di abbandono, di abuso e/o di trascuratezza.  Ciò che più mi colpisce è verificare quanto spesso succede da quando queste persone divengono genitori, ne mettano in atto comportamenti che portano a definire loro stessi “dei cattivi genitori”: inaffidabili e assenti. Incapaci di proporre delle modalità di relazione di cura e di affetto alternative a quelle da loro stessi ricevute, agiscono quindi trasmettendo intergenerazionalmente sui propri figli ciò che di  doloroso e malsano hanno vissuto sulla propria pelle.
In fatti, quasi come se vi fosse una coazione a ripetere, ne vengono riproposti modelli e stili di relazione di cui non ne possono fare a meno, nonostante abbiano gli stessi effetti pragmatici di sofferenza, di abbandono e di trascuratezza sui loro figli, simili alle esperienze da loro subite. Ed è così che finiscono per trasmettere una catena dolorosa di comportamenti, di relazioni e di emozioni che imprigiona e condiziona i loro figli, e che non sempre sono disposti a (inte)rompere. Come se la genitorialità loro gli rimettesse a contatto con delle "verità" nei confronti delle quali è impossibile differenziarsi, per cui bisogna o confermare la propria incapacità ad assolverla fuggendo dal potere essere una figura affettiva di riferimento nutriente e vicina oppure ripetendo acriticamente ciò che si è stati costretti a subire da figlio. Un tale modo fatalistico e compulsivo di agire, fa riferimento all’ingerenza di quelle credenze e pregiudizi in base ai quali ogni essere umano costruisce la propria identità e che non sempre si è disposti a mettere in discussione; ancora di più se con esse (paradossalmente) ci si impara ad ottenere delle rassicurazioni piacevoli immediate e di conseguenza ne ha sviluppato un  rispetto reverenziale, acritico.



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Para mi, una de esas experiencias que considero personalmente más frustrante y con las quales estoy frecuentemente en contacto por mi trabajo clinico, se refiere a ser testigo de la ineluctabilidad con la cual se puede reforzar y trasmitir el malestar psicológico, difundiéndose como mancha de aceite imperturbable, de una generaciòn a la otra.
En el espacio en donde ejerzo mi trabajo de psicoterapeuta, entre las tantas historias que  me cuentan acerca de la dificultad de vivir, muchas de éstas me ponen en estrecho contacto con personas que cargan consigo narraciones de vida construidas alrededor y desde el abuso de substancias. Son generalemente jovenes adultos que provienen de recorridos de infancias heridas e infelices. Individuos que han crecido dentro de procesos evolutivos con efecto deformador, en los cuales han vivido experiencias de abandono, de abuso y/o de descuido. Lo que más me golpea es, comprobar cuánto frecuentemente sucede que cuando estas personas devienen genitores, actúen comportamientos que llevan a definirlos como unos “malos genitores”: no confiables e ausentes. Incapaces de proponer modalidades de relación de cuidado y afecto, alternativas a aquellas que ellos mismos recibieron, actuando por lo tanto en forma tal que trasmiten intergeneracionalmente a sus hijos aquello que de doloroso y malsano han vivido sobre su propia piel.
En efecto, casi como si hubiese una coerciòn a repetir, son repropuestos modelos y estilos de relación que no pueden ignorar, a pesar de que éstos tengan los mismos efectos pragmáticos de sufrimiento, abandono y descuido sobre sus hijos, semejantes a las experiencias sufridas por ellos mismos. Es asi que terminan por transmitir una cadena dolorosa de comportamientos, de relaciones y de emociones que aprisionan y condicionan sus hijos, y que no siempre son dispuestos a interrumpir. Como si el ser genitores crease la condición de estar a contacto con  “verdades”  frente a las cuales es imposible diferenciarse, por ende se hace necesario, o confirmar la propia incapacidad a absolverla huyendo de la posibilidad de ser una figura afectiva de referenzia nutritiva y cercana o sino repitiendo acriticamente aquellos comportamientos sufridos como hijo. Este modo fatalista y compulsivo de actuar tiene que ver con la ingerencia de creencias y prejuicios en base a los cuales cada ser humano construye su identidad y que no siempre està dispuesto a poner en discusiòn; màs aùn si con ellas (paradojalmente) ha aprendido a obtener aseguraciones placenteras inmediatas y consecuencialmente ha desarrollado un respeto reverencial, acritico.





giovedì 6 febbraio 2014

Dal taedium vitae tossicomanico verso mondi possibili inediti….. (Del taedium vitae toxicománico hacia mundos posibles inéditos......)





E’ l’abuso di sostanze che organizza la psiche del tossicomane stimolando la compulsività ossessiva  propria delle dipendenze oppure sono le emozioni che egli prova nell’arco della sua vita, che organizzano dei sentimenti che promuovono, consolidano e giustificano il comportamento di abuso?
Probabilmente questo è uno dei tanti falsi dilemmi su cui sono costruite le tossicomanie e che stanno alla base della loro cronicizzazione. Comunque sia, la tossicomania è quella "belva insaziabile" che spinge a chi ne subisce il suo prepotente predominio, verso il vuoto incolmabile dell’infelicità spingendo a chi ne è vittima in un loop di taedium vitae e di ulteriore dolore che a sua volta ne richiede della corazza anestetica (che la sostanza provvede) perché il malessere nei confronti di se stesso diviene un malessere di stare con e nel mondo.
Vi sono dei contesti di cura in cui il approccio medicalizzante è complementare e in qualche maniera subordinato a quelli psicoterapeutico ed educativo. In effetti, all’interno di alcune comunità terapeutiche residenziali contro le tossicodipendenze (come quelle della rete SAMAN), si aprono degli spazi individuali e di gruppo all’interno dei quali avviene il confronto, la riflessione e (soprattutto) l’auto osservazione.
Coloro che da operatori contribuiscono a crearli tali spazi, ne raccolgono le fatiche (psichiche, relazionali ed esistenziali) indicibili di chi non sa di non sapere, annebbiato dalle proprie narrazioni nell’autoinganno. Ma, essendo la tossicomania anche una realtà intersoggettiva, i gruppi rappresentano per l’operatore lo strumento per eccellenza con cui avviare un processo lento, non lineare, a volte contorto ma alla fine virtuoso (anche se imprevedibile). Grazie a quel processo co creato e intersoggettivo le identità individuali si riflettono fra di loro in un gioco a specchi che permette la condivisione di immagini, quelle di loro stessi, ma crudamente nuove. I gruppi terapeutici in particolare, sono quello spazio privilegiato in cui le persone imparano a conoscersi, cogliendo (nel confronto) quelle sfumature che caratterizzano l'identità di ognuno e che possono essere la giusta conferma sulla possibilità di essere in grado di costruire/abitare in nuovi possibili mondi (liberi dal giogo tossicomanico).



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El abuso de sustancias organiza la psique del toxicómano estimulando la compulsividad obsesiva propia de las dipendencias o acaso son las emociones que él prueba en su vida, las que organizan aquellos sentimientos que promueven, consolidan y justifican el comportamento de abuso?
Quizàs este sea uno de los tantos falsos dilemas sobre los que se construyen las toxicomanias y que están a la base de su cronicidad. De todas maneras, la toxicomanía es aquella "bestia insaciable" que empuja hacia el vacio irrecuperable de la infelicidad, introduciendo a quién es su victima en un bucle de taedium vitae y de ulterior dolor, que a su vez incita la necesidad de poseer una coraza anestética (que la substancia provede) pues el malestar consigo mismo deviene un malestar de estar con y en el mundo.
Existen contextos de cura en los que el modelo médico es complementario y en alguna manera subordinado a los modelos psicoterapeutico y educativo. Efectivamente, dentro de algunas comunidades terapeuticas residenciales  contra las toxicodependencias (como aquellas della rete SAMAN), se abren espacios individuales y de grupo en los cuales se costruyen la confrontaciòn, la reflexiòn y (sobre todo) la auto observación.
Quienes como operadores contribuyen a crear tales espacios, recojen los cansancios (psiquicos, relacionales y existenciales) indecibles de quienes no saben de no saber, oscurecidos por las propias narraciones en el auto ingaño. Pero siendo la toxicomania también una realidad intersubjetiva, los grupos representan para el operador el instrumento por excelencia con el cual fomentar un proceso lento, non lineal, complicado pero al final virtuoso (si bien imprevedibile). Gracias a tal proceso cocreado e intersubjetivo las identidades individuales se reflejan entre si, en un juego de espejos que permite compartir las imagenes de cada quien, pero crudamente distintas. Los grupos terapéuticos en particular, son aquel espacio privilegiado en el cual las personas aprenden a conocerse, cogiendo (a partir de la confrontación) aquellos matices que caracterizan la identidad de cada uno y que pueden ser la justa confirmación acerca de la posibilidad ser capaz de construir/habitar en nuevos mundos posibles (libres del yugo toxicomanico).