L’altro giorno arrivò alla mia buca delle lettere una "pubblicità" lasciata dai “procacciatori di salvezza porta a porta”, in cui si
proponeva provocatoriamente la domanda "smetteremo mai di soffrire?” Come se
nella vita vi fossero delle situazioni
tali, che in quanto esperienze tragiche e inaspettate, potessero in senso
fatalistico, soltanto elicitare risposte univoche di sofferenza appunto….e
pensavo per esempio a situazioni così drammatiche come quelle in cui i genitori
sopravvivono ai propri figli, quindi di perdite avvenute per cause tutt’altro
che naturali. Quelle perdite così difficili da accettare come per poter
affrontarne il senso e passare oltre per ritrovare il flusso vitale e
generativo bloccato dalle perdite subite. Come accettare di essere testimoni
dei dolori della vita di fronte a vite brevi spezzate da agenti maledettamente
imprevisti, circostanziali e uscirne indenni?
Sono vissuti che fanno riferimento a dei significati
talmente intimi e privati che a malapena potremmo cogliere finché non fanno
parte del bagaglio personale di ognuno di noi (perché il dolore si conosce
dalla esperienza). Il dolore e la sofferenza sono emozioni che accompagnano
l’esistenza umana e pure a seconda come gli viviamo soggettivamente, a volte ci
impedisce di condividerle per poter trasformare l’assenza in ricordo. Scoprire
quindi che ambi due sono l’espressione del processo evolutivo insito nel cerchio
della vita può farne la differenza. Parafrasando l’autore diremmo che essi sono
intrinsecamente legati alla nostra condizione umana, nella quale la morte (che
fa parte della vita) è una ferita profonda che guarisce spontaneamente a
condizione che non si faccia niente per ritardarne la cicatrizzazione.
Nell’ambito della clinica delle perdite e del lutto vi è
il principio secondo il quale la condivisione della sofferenza ci apre alla
possibilità di fare quel po’ di chiarezza nel mezzo del buio del dolore
lancinante, che ci può aiutare a non perdere la consapevolezza di fare parte
comunque di un processo evolutivo più ampio, costante e del quale siamo protagonisti (volenti o nolenti).
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El otro dia llegó a mi buzón de cartas una “publicidad”
dejada por unos “proveedores de salvación puerta a puerta”, en la que se
proponia provocativamente la pregunta “¿dejaremos alguna vez de sufrir?”. Como
si en la vida hubiesen situaciones que como experiencias trágicas e
inesperadas, pudiesen en sentido fatalista, solo estimular respuestas univocas
, o sea de sufrimiento…. y pensaba
por ejemplo a situaciones tan dramáticas como aquellas en las que los padres
sobreviven a sus hijos, es decir pérdidas por causas que no son naturales.
Aquellas pérdidas tan dificiles de aceptar como para poder afrontar su sentido
e ir más allá para retomar el flujo vital y generador bloqueado por las
pérdidas mismas. ¿Cómo aceptar ser testigos de los dolores de la vida frente a
vidas breves interrumpidas por agentes malditamente imprevistos,
circunstanciales e salir indemnes ?
Son vivencias
que se refieren a unos significados muy intimos y privados que a duras penas
podremos entender mientras que no sean parte de nuestro bagaje personal (por
que el dolor se conoce por la experiencia). El dolor y el sufrimiento son
emociones que acompañan la existencia humana y sin embargo según cómo los
vivimos subjetivamente, a veces nos impide di compartirlos para poder
transformar la ausencia en recuerdo. Decubrir que ambos son la expresión
del proceso evolutivo inherente al circulo de la vida puede hacer la
diferencia. Parafraseando el autor diria que estos están intrinsecamente
ligados a nuestra condición humana, en la qual la muerte (que es parte de la vida) es una herida profonda
que se sana expontaneamente a condición que no se haga nada que retraze el
proceso de cura.
En el ámbito de la clinica de las pérdidas y del luto
existe el principio según el cual compartir el sufrimiento nos permite abrirnos
a la posibilidad de hacer un poco de claridad en medio a la oscuridad del dolor
lancinante, que puede ayudarnos a no perder conciencia de ser parte de un
proceso evolutivo mas amplio, constante y del cual somos
protagonistas (queriéndolo o no).
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