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IN QUESTO BLOG BILINGUE VENGONO AFFRONTATE DIVERSE TEMATICHE DA UNA PROSPETTIVA PSICOLOGICA (en este Blog bilingue se tratan distintos temas desde una perspectiva psicològica)

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venerdì 3 agosto 2018

La politica ai tempi della paura e dell’ incertezza sociale (La politica en tiempos de miedo e incertidumbre social)






Socialmente, viviamo in Italia un periodo storico in cui le emozioni più frequenti con le quali abbiamo a che fare sono l’ansia, la rabbia, il rancore, la diffidenza, ma anche la paura; tutte esse dei contenuti promotori di disagio psicologico con valenza depressogena/ansiogena. Probabilmente vi è uno stretto collegamento con il fatto che come nazione (e come continente), ci troviamo a vivere in un periodo della storia mondiale caratterizzata da grossi cambiamenti e sfide: quindi la convinzione di vivere in una società monoliticamente stabile, esenta da imprevisti, incertezze e di insicurezze, ormai è un pensiero da tempo fatto a pezzi dalle sfide delle congiunture che l’andamento dell’economia mondiale ci obbliga in un modo o nell’altro ad affrontare. Tale consapevolezza piuttosto richiederebbe (a cominciare dai protagonisti della politica in generale e in particolare di quella conservatrice), un approccio alla realtà basato sull’ ingegno, sulla fiducia e sulla creatività.  E pure, oggi più che mai le emozioni tossiche della gente comune, elencate prima, circolano e si diffondono attraverso le reti sociali ad una velocità vertiginosa, amplificando piuttosto un approccio che rifiuta l’apertura verso soluzioni nuove, a partire dalla fiducia collettiva e nella solidarietà sociale (che invece spesso è l'antecamera ad agiti di violenza nei confronti di coloro visti come ospiti indesiderati). 

I venditori di illusioni di turno della politica, propongono la ricetta della chiusura: dobbiamo tornare ad essere tribù ci dicono, chiuderci dentro i propri confini geografici e culturali, perché se non lo facciamo non solo rischiamo di annientare gli scarsi spazi di comfort e sicurezza che tuttora restano, ma anche la possibilità di essere deprivati da un’identità pura, rassicurante perché già familiare. Attualmente siamo testimoni quotidiani di una politica che sfrutta e fa eco all’ emozionalità più distruttiva, quella che mette le persone contro altre persone (approccio non molto diverso dal terribile “mors tua vitae mea”), tutto ciò in nome di una proposta falsamente rassicurante. Ma, siccome sappiamo che la storia dell’umanità non è il risultato di un percorso lineare, perché essa è costruita dalle scelte che vengono compiute dagli stessi uomini -anche a partire dalle azioni sciagurate agite in nome del proprio clan etnico, principio o credo- , non stiamo sicuramente parlando di qualcosa che appartiene esclusivamente al folklore di una politica bieca e ignorante, ma del rischio di avviare una deriva disumanizzante, socialmente autodistruttiva.

Mi piace pensare la politica come una dimensione dell’agire umano, attraverso il quale le persone non perdono la loro umanità, anzi ne vengono nobilitate. Per questo motivo, mi rimane il grosso dubbio su quella che è la motivazione sottostante a quella politica della demagogia populista, come modalità di azione e di reclutamento: proprio perché ignoranti soffiano irresponsabilmente sui venti dell’incertezza sociale pensando di corrispondere ai bisogni di fiducia e certezze della popolazione oppure, lo fanno consapevoli della presa che può avere cavalcare l’onda delle paure, per favorire i loro propri interessi di gruppo?  

Una cosa è certa, è assolutamente necessario che la politica, quella della civiltà e della convivenza, sappia cos’è la natura umana, per essere in grado di stimolarla a farla progredire.

Quindi, se partiamo dalla premessa che l’essere umano è per definizione emozionale, e che di conseguenza spesso e volentieri rischia di esserne vittima dei propri timori infondati e dei pregiudizi ancestrali (anche per via delle proprie incertezze), risulta fondamentale per gli opinion leader, o partiti politici che siano, stimolare quelli elementi caratteristici dell’intelligenza emozionale: per coltivare consapevolmente l’empatia e la sensibilità sociale di fronte agli altri esseri umani; ad essere flessibili e curiosi, soprattutto difronte a ciò che non si conosce; ad avere uno sguardo aperto alla novità e al cambiamento perché essi non solo sono gli ingredienti del progresso sociale ma anche i requisiti per costruire una società migliore, in grado di dare nuove certezze a tutti quelli che ne fanno parte.





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 Desde un punto de vista social, vivimos actualmente en Italia un periodo histórico en el cual las emociones más frecuentes con que entramos en contacto son el ansia, la rabia, el rencor, la desconfianza, como también el miedo; todas ellas con contenidos que promueven sufrimiento psicológico con una valencia depresiva y ansiosa. Quizás ello sea asociado al hecho que come nación (y como continente), nos encontramos vivendo en un periodo de la historia mundial caracterizado por grandes cambios y desafios: por lo tanto, la certeza de vivir en una sociedad monoliticamente estable, carente di imprevisiones, incertidumbres e inseguridades, es un pensamiento hecho añicos por los desafios que las conyunturas que el paso actual de la economia mundial nos obliga a hacer frente de alguna manera. Esta conciencia solicitaría mas bien (comenzando por los protagonistas de la politica en general y en especial de aquella conservadora), un acercamiento a la realidad basado en el ingenio, en la confianza e la creatividad. Y sin embargo, hoy más que nunca las emociones tóxicas de la gente común, referidas lineas antes, circula y se difunden a travez de las redes sociales a una velocidad vertiginosa, amplificando  mas bien una posición che rechaza la apertura hacia soluciones nuevas, partiendo de la confianza colectiva y la solidaridad social (que en cambio frecuentemente es la antesala a comportamientos violentos frente a aquellos que son vistos como huéspedes no deseados).

Los vendedores de ilusiones de turno de la politica, proponen la receta del cierre: debemos regresar a ser una tribu nos dicen, cerrarnos dentro de las propias fronteras geograficas y culturales, por que si no lo hacemos arriesgamos el anulamiento de los escasos espacios de comfort y seguridad que aún quedan, sino también arriesgamos la posibilidad de deprivarnos de una identidad pura, tranquilizadora porque nos es familiar. Actualmente somos testigos cuotidianos de una politica che se aprovecha y fa de eco a la emocionalidad destructiva, aquella que pone las personas contra otras personas ( una modalidad no muy diferente del terrible “muerte tuya vida mia”), todo ello en nombre de una propuesta falsamente tranquilizadora. Pero ya que la historia de la humanidad no es el resultado de un recorrido linear, porque es construido por las elecciones que las personas ejecutan –incluyendo las elecciones desastrosas que se toman en nombre del proprio clan etnico, principio o credo.-, no estamos hablando de algo que pertenece al folklore de una politica sombria e ignorante, sino del riesgo de provocar una deriva deshumanizante, socialmente autodistruttiva.

Me gusta pensar a la politica como una dimensión de la actividad humana, por la cual las persona non perden su humanidad, mas bien son ennoblecidas. Por ello me queda la fuerte duda acerca de cual es la motivación escondida de aquella politica de la demogogia populista, como modalidad de acción y reclutamento; ¿es acaso que por ignorancia soplan irreasponsablemente los vientos de la incertidumbre social pensando que al hacerlo corresponden con las necesidades de confianza y certidumbre de la población o en cambio, lo hacen porque son concientes de la ganancia que pueden obtener montando la ola del miedo a fin de favorecer sus intereses de grupo?

Una cosa es segura, es absolutamente necesario que la politica, aquella de la civilización y la convivencia, sepa cómo es la naturaleza humana, para poder estimularla y contribuir a hacerla evolucionar.

Por lo tanto, partiendo de la premisa que el ser humano es por definición un ser emotivo, y consecuentemente es frecuente que corra el riesgo de ser victima de sus propios temores infundados y de prejuicios ancestrale (relacionados con su propia incertidumbre), es fundamental que los lideres de opinión, o los partidos politicos, estimulen aquellos elementos propios de la inteligencia emotiva: para cultivar concientemente la empatia y la sensibilidad social frente a los otros seres humanos; a ser flexibles y curiosos, principalmente de frente a lo desconocido; a tener una mirada abierta a la novedad y al cambio porque son no solamente los ingredientes del progreso social sino también los requisitos a partir de los cuales poder construir una sociedad mejor, en grado de dar nuevas certidumbres a todos sus miembros.

mercoledì 1 marzo 2017

La sensibilità resiliente come antidoto contro l'irreparabile (La sensibilidad resiliente como antidoto contra lo irreparable)




Quando succede ad ognuno di noi che dobbiamo confrontarci con il dolore della perdita irreparabile di chi vogliamo bene, in particolare quando essa è legata a circostanze di massima incertezza e imprevedibilità, tendiamo ad amplificare il senso di impotenza e di non accettazione che essa ci porta a sentire, quasi naturalmente. Quindi, poter ribaltare lo smarrimento che ne sussegue, e farlo diventare un risultato indesiderato di un percorso di vita non banale, intenso e produttivo dal punto di vista umano, può voler dire rimanere con quei contenuti che nel nostro piccolo, ci inspirano  a poter fare di più e meglio nelle nostre proprie vite.
I drammi dei viaggi migratori di questi tempi, all'insegna dei pericoli imprevisti in agguato, rappresentano una di quelle esperienze dietro le quali la ribellione e il coraggio fanno da spinta per poter andare verso lo sconosciuto, alla ricerca di una vita più degna. Lo sguardo del rapper immigrante che ha perso nel mare chi voleva bene, riesce a ribaltare il dolore intenso provato e a cogliere quei contenuti in grado di spiegarne ciò che altrimenti si vedrebbe soltanto come una terribile perdita inacettabile, risultato di un'improvvisazione ingiustificabile o della fatalità di un destino ingiusto. In ambi due i casi, ribaltare un senso di sconfitta, di dolore o di rabbia risulterebbe un'impresa tutt'altro che possibile. Ecco l'importanza di coltivare attivamente una sensibilità resiliente; attraverso di essa sentiamo e viviamo il divenire umano con una prospettiva di veduta più ampia che complecizza, connettendolo a tutto ciò che allarga la comprensione delle cose che viviamo (nel bene e nel male). 



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Cuando sucede a cada uno de nosotros que debemos enfrentarnos con el dolor de la pérdida irreparable de quien amamos, sobre todo cuando està vinculada a circunstancias de gran incertidumbre y imprevisiòn, tendemos a amplificar el sentido de impotencia y de rechazo como reacciòn casi natural. Por ello, lograr cambiar  la pérdida que se siente y convertirla en un resultado no deseado de una vida no banal, intensa y productiva desde el punto de vista humano, puede significar quedarnos con aquellos significados que nuestra propia situaciòn personal, nos inspiran a hacer màs y mejor en nuestras vidas.
Los dramas de los viajes migratorios de nuestro tiempo, hechos en medio de peligros imprevistos, representan una de esas experiencias atràs de las cuales la rebeldia y el coraje sono estimulos que ayudan a enfrentar lo desconocido, en la bùsqueda di una vida màs digna. La mirada del rapper imigrante que perdiò en el mar quien amava, logra cambiar el dolor intenso que prueba y a cojer aquellos contenidos capaces de explicar lo que de otra manera seria solo una terrible pérdida inaceptable, resultado de la improvisaciòn injustificada o de la fatalidad de un destino injusto. En ambos casos, modificar el sentido de fracaso, dolor y rabia resultaria una empresa poco factible. Esta es la importancia que tiene poder cultivar activamente una sensibilidad resiliente; a través de ella sentimos y vivimos el devenir humano segùn una perspectiva de vista màs amplia que complejiza, conectandolo con todo aquello que incrementa la comprensiòn de las cosas que vivimos (en el bien y en el mal).




venerdì 4 marzo 2016

Bambini che odiano gli animali : chi sono? (Niños que odian los animales: ¿quiénes son?)





Se uno cerca nel web il termine "violenza" abbinato a quello "infantile", ne trova dei riferimenti solo se la si declina con quella inferta sul bambino, e non vi è riferimento alcuno a quella che possano esercitare i bambini stessi. Vuol dire che non è concepibile qualcosa del genere?, che è semplicemente qualcosa di inimaginabile?
Siamo tutti spesso portati a pensare l'infanzia come un periodo della vita in cui vi è esclusivamente lieta serenità e dolcezza, e pure sappiamo che esistono diversi contesti relazionali in cui l'aggressività infantile può irrompere, attraverso dei comportamenti più svariati: quelli individuabili in coloro descritti come dei bulli, quindi attuati nei confronti di altri bambini, ma vi è anche una violenza esercitata nei confronti degli animali.
Di quest'ultimi comportamenti violenti vorrei occuparmene, visto che sono quelli in cui la crudeltà del gesto violento, su un essere vivente incapace di comprendere intenzioni o pretese dal suo "carnefice", difficilmente non può essere spiegato se non come sfogo malsano di qualcosa che avrebbe a che fare con un'identità terribilmente cattiva, di conseguenza con una forte connotazione di psicopatologia individuale. E pure, gesti di ordinaria violenza si riscontrano nelle storie di tante esperienze infantili nei confronti di insetti, di rettili e di altri specie animali.
Come affrontare questa violenza da un punto di vista clinico, ammesso che da un punto di vista sociale vada condiviso con il bambino stesso lo stupore di fronte al gesto violento, come premessa de un intervento educativo che stimoli non solo consapevolezza, ma che favorisca anche la sua assunzione di responsabilità personale? La domanda acquisisce rilevanza nella misura in cui tali comportamenti si possano presentare "accompagnati" da connotati e in contingenze che amplifichino i contenuti impliciti di crudeltà gratuita.
Ecco che può avere senso chiedersi, cos'è che può stare alla base di questi comportamenti?, sono un gesto dimostrativo di potere inteso come controllo e dominanza?, rispecchiano una competizione più o meno nascosta con i coetanei?, un segnale di disagio taciuto, inespresso?, l'espressione della storia di apprendimento del bambino (intesa come il bagaglio di esperienze vissute dentro e fuori dalla famiglia)?, la spia di rapporti conflittuali con gli adulti di riferimento? Probabilmente, vi è un pò di tutto ciò nei bambini che assumono come azione di prepotente dominio la sopraffazione sugli animali; vi è una graduatoria di intensità e di rischio psicopatologico crescente a seconda del tipo di situazione incriminata e della frequenza con cui il sopruso si ripropone.
Gli studi clinici suggeriscono che in età precoce (stiamo parlando di bambini in età preadolescenziale) i comportamenti aggressivi in generale, e quelli inflitti sugli animali in particolare, possono essere indicatori in età evolutiva che hanno una prognosi di alta probabilità di comportamenti devianti con forti connotazioni antisociali, nel futuro comportamento adulto. Ecco perché comunque, non si può assumere un atteggiamento di indifferenza o uno di carattere giustificatorio di fronte a tali gesti.
Il rischio però di etichettare con categorie nosologiche il bambino, quindi di cronicizzare un quadro di disfunzionalità è molto alto; le buone pratiche cliniche esigono allargare all'entorno affettivo-sociale dei piccoli, la valutazione e la comprensione di tali comportamenti crudelmente abusivi, perché attraverso l'ingrandimento del campo di osservazione si possono acquisire dei dati narrativamente e storicamente significativi, che altrimenti rimarrebbero nascosti per effetti dell'impatto emotivo che gli stessi comportamenti esplicitati provocano.









Si uno busca en la web el término "violencia" asociado al de "infantil", encuentra referencias solamente si se habla acerca de aquella que ejercitada sobre el niño, y ninguna respecto a aquella que parte del niño mismo. ¿ello quiere decir que non se puede concebir algo semejante y que simplemente es algo que no cabe imaginar?
Frecuentemente, somos proclives a pensar la infancia como un periodo de la vida exclusivamente alegre y dulce, sin embargo sabemos que existen diversos contextos relacionales en los que la agresividad infantil puede irrumpir, mediante comportamientos di diferentes tipos: aquellos individuables entre quienes hacen bulling, es decir actuados hacia otros niños, pero también existe una violencia ejercitada contra los animales.
Acerca de éste ultimo tipo di violencia quisiera ocuparme, ya que se trata di comportamientos en los que la crueldad del gesto violento, sobre un ser viviente incapaz de comprender intenciones o pretensiones de su "verdugo", dificilmente no puede dejar ser interpretado sino como una manifestacion malsana de algo que tendria que ver con una identidad extremadamente malvada, consecuentemente, con una fuerte connotación de psicopatologia individual. Sin embargo, gestos de comun violencia se pueden observar en las historias de muchas experiencias infantiles frente a insectos, reptiles y de otras especies animales. ¿Cómo afrontar esta violencia desde un punto di vista clinico, admitido que desde un punto de vista social se comparta con el niño mismo el estupor frente al gesto violento, como premisa de una intervención educativa que estimule no solo conciencia del hecho sino también una toma de conciencia de la responsabilidad personal? La pregunta adquiere relevancia en la medida en que tales comportamientos puedan presentarse "acompañados" de connotaciones y contingencias que amplifiquen los contenidos implicados de crueldad gratuita.
Es asi que puede tener sentido preguntarse, ¿qué cosa suponen tales comportamientos?, ¿son un gesto demostrativo de poder, entendido como control y dominación?, ¿reflejan una competencia más o menos escondida con sus pares?, ¿son un señal de malestar callado, no manifiesto?, ¿acaso la expresión de la historia de aprendizaje del niño (entendida como el bagaje de experiencias vividas dentro y fuera de su familia)?, ¿indicadores de relaciones conflictuales con los adultos significativos de referencia? Probablemente estén presentes un poco cada una de las interrogantes precedentes, como aquellas motivaciones por la que estos niños asumen como acción de predominio aplastar los animales. Existe una graduación de intensidad y riesgo psicopatológico creciente según las caracteristicas de la situación incriminada y de la frecuencia con la cual el abuso se presenta.
Los estudios clinicos sugieren que en edad temprana (se habla de la etapa preadolescente en estos casos), los comportamientos agresivos en general y aquellos infligidos a los animales, en particular, pueden ser indicadores en la edad evolutiva, que tienen un prognostico de alta probabilidad de comportamientos desviados con fuertes connotados antisociales, en el futuro comportamiento adulto. Esta es la razón por la que frente a tales gestos, no se puede asumir un actitud de indiferencia o de tipo justificadora.
El riesgo de poner etiquetas con categorias nosologicas que cataloguen al niño, y por lo tanto de hacer crónico un cuadro de disfuncionalidad, es muy alto; las buenas prácticas clinicas requieren el alargamiento de la observación y de la evaluación de los comportamientos cruelmente abusivos, en modo de involucrar el entorno afectivo-social del niño y asi adquirir datos narrativamente e historicamente significativos, que de otra forma quedarian escondidos por el impacto emotivo que los mismos comportamientos explicitados provocan.




venerdì 26 febbraio 2016

Se per la politica la logica fuzzy è troppo sofisticata... bisogna stare attenti!!! (Si para la politica la logica fuzzy es algo muy sofisticado .... ¡hay que estar atentos!!!)




In questi ultimi giorni, la politica italiana si è vista fortemente segnata dal rozzo escamotage con cui i parlamentari conservatori sono riusciti a bloccare (almeno all'interno della così detta, legge delle unioni civili), la possibilità di riconoscere ufficialmente le coppie omosessuali come dei rapporti meritevoli di essere concepiti anche come spazi relazionali e affettivi, sani e affidabili, definendole implicitamente come non apte a curare la crescita equilibrata e la tutela del bambino.

Come? Secondo il peggiore e più ideologico dei modi, estipulando nel seno della "legge delle unioni civili" la "non obbligatorietà" alla fedeltà all'interno di tali rapporti, quindi facendo passare come se l'inaffidabilità fosse già una caratteristica propria ed intriseca ad esse. Così, vorrebbero indurre un giudizio che considera come criterio di esclusione (nel tema della genitorialità e non solo), la idea secondo la quale nelle relazioni omosessuali, la motivazione sottostante sia esclusivamente di indole sessuale, puramente edonistica e individuale. Per cui esse sarebbero per definizione, uno spazio relazionale e affettivo malsano, instabile e incapace di promuovere la crescita equilibrata e protetta del minore. Tutto ciò ovviamente anche, basato sul falso assioma secondo il quale se "la fedeltà" è richiesta dalla legge (vedi le coppie eterosessuali), essa sarebbe in grado di garantire dei contesti relazionali e affettivi coerenti e affidabili (in particolare, nell'ambito della genitorialità).

Il tentativo del legislatore di fare prevalere un principio ideologico (affermare che esista solo un modello di famiglia funzionale, dal punto di vista della salute mentale) per creare differenze e discriminare, è talmente grossolano che sembra provenga dalla peggiore delle ignoranze, quella del disconoscere la natura umana. Non sapere che il comportamento umano in generale e la psiche in particolare si organizzano rispettando la logica fuzzy, vuol dire non solo avere una idea fortemente ideologizzata dell'essere umano, ma anche ignorare la estrema complessità del sano vivere.

Secondo il pensiero fuzzy, le realtà umana e sociale non sono costruite in termini dilemmatici (vero o falso). Anzi, bisogna affermare con forza che il vivere umano è caratterizzato dall'assenza di concetti e principi con validità universale. Quindi, la realtà dei rapporti umani sani e affidabili altro non è che la somma di tutti gli stati relazionali e affettivi possibili presenti, anche se sconosciuti ad un osservatore (consapevolmente o meno) distratto.

Il legislatore ha la responsabilità sociale di essere in sintonia con il multiverso della complessità sociale umana, anche perché non condividerlo o ignorarlo può volere dire avere una visione autoreferenziale pesantemente condizionata dai propri punti di vista, pregiudizi compresi. Vi è in gioco la salvaguardia dei diritti umani (dell'adulto e del bambino) nello spazio della convivenza sociale, lo dice la Corte di Strasburgo.







En estos ultimos dias, la politica italiana se ha visto fuertemete marcada por el burdo subterfugio con el cual los parlamentarios conservadores han logrado bloquear (por lo menos dentro de la asi llamada "ley de las uniones civiles"), la posibilidad de reconocer oficialmente a las parejas homosexuales como relaciones merecedoras de ser consideradas como espacios relacionales y afectivos, sanos y fiables, definiendolas como no aptas a cuidar y tutelar el crecimiento equilibrado del niño.

¿Cómo? Según el peor y más ideológico de los modos, estipulando dentro de la propuesta de "ley de las uniones civiles" la "no obligatoriedad" a la fidelidad dentro de tales relaciones, por lo tanto haciendo pasar como si la no afidabilidad fuese una caracteristica propia e intrinseca a ellas. Asì quisieran inducir un juicio que considera como criterio de exclusión (en el tema de la paternidad y no solo en ella), la idea por la cual en las relaciones homosexuales, la motivación subyacente sea exclusivamente de indole sexual, puramente hedonista e individual. Por lo tanto un espacio relacional y afectivo malsano, inestable e incapaz de promover el crecimiento equilibrado y protegido del menor. Todo ello obviamente, basado a partir del falso axioma según el cual si la fidelidad es requerida por la ley (el caso de las parejas heterosexuales), esta serìa en grado de garantizar contextos relazionales coherentes y afidables (particularmente en el ámbito de la paternidad).

La intención del legislador de hacer prevalecer un principio ideológico (afirmar que existe sólo un tipo di familia funcional, desde el punto de vista de la salud mental), para crear diferencias y discriminar es tan grosero que parece provenga de la peor ignorancia, aquella referida al desconocimiento de la naturaleza humana. No saber que el comportamiento humano en general y la psiche en particular, se organizan respetando la logica fuzzy, quiere decir no sòlo tener una idea muy ideologizada del ser humano sino también ignorar la extrema complejidad del vivir sano.

Según el pensamiento fuzzy, la realidad humana y social no están construidas en términos dilemáticos (verdadero o falso). Más bien, es necesario afirmar con fuerza que el vivir humano se caracteriza por la ausencia di conceptos y principios con validez universal. Por lo tanto, la realidad de las relaciones sanas y confiables non son otra cosa que la suma de todos los estados relacionales y afectivos posibles presentes, aunque si son desconocidos a un observador (concientemente o no) distraido.

El legislador tiene la responsabilidad social de entrar en sintonia con el multiverso de la complejidad social humana, porque no compartirla o ignorarla puede significar tener una visión autoreferencial profundamente condicionada por los propios puntos de vista, incluyendo los prejuicios. Está en juego nada menos que la salvaguarda de los derechos humanos (del adulto y del niño) en el espacio de la convivencia social, lo dice la Corte de Estrasburgo.




venerdì 19 settembre 2014

Se a difendere il carnefice è la vittima stessa... (Si en defensa del verdugo sale la victima misma...)


Diceva il titolare del giornale, il suo partner la picchiava e la polizia dovette intervenire per fermarlo, e lei.... reagì aggredendo coloro che erano venuti a proteggerla. Un comportamento apparentemente paradossale quello della donna, che può destare delle perplessità a chi da osservatore esterno giudica come incomprensibile  tale reazione inaspettata, per la sua esplicita illogicità. 
Ciò che non sapeva il giornalista che raccontava l'episodio è che il rapporto di coppia, in generale, è l'esempio per eccellenza di quelle relazioni ad intenso coinvolgimento affettivo, nelle quali si creano dei vincoli stretti in grado di dare un senso e un'identità a coloro che ne fanno parte. In effetti, in genere si dice che nel tempo, i membri di una coppia tendono reciprocamente a fare proprie molte delle modalità e degli stili di comunicazione del partner, imitandogli e/o amplificando una loro complementarietà; essa a sua volta incoraggia e consolida lo scambio complessivo tra i componenti del rapporto. Così, per via di questo processo condiviso attivo di conoscenza e di mimesi  nei rapporti di coppie, le persone costruiscono una loro identità che può avere la potenza di organizzare il modo con cui ognuno interagisce (sia dentro che fuori dalla coppia). Non solo, in questo contesto relazionale di intenso scambio e di complementarietà reciproche, quel processo costruisce ciò che viene chiamata "l'identità di ogni coppia" secondo la quale ogni membro del rapporto contribuisce implicitamente o esplicitamente a mettere in piedi quelle caratteristiche che identificano e differenziano ogni coppia dalle altre.
Ma cosa succede in quei rapporti di coppie in cui subentrano dei comportamenti aggressivi e violenti e dei quali non è possibile liberarsene? Come mai essere annientato dal maltrattamento che proviene dal proprio partner non sempre è un potente e decisivo stimolo che spinge a lasciare il campo, per salvare la propria pelle?
Ricordiamo innanzitutto che i rapporti di coppia basano la loro dinamica di scambio e continuità sulla loro prevedibilità relazionale (so cosa posso aspettarme da lui/lei e viciversa). Essa può favorire il consolidamento di quella complementarietà originaria ricercata e a partire dalla quale le persone inizialmente si scelsero.
Secondo l'osservazione clinica delle relazioni disfunzionali e patologiche, sembrerebbe che sono i così detti carnefici o persecutori coloro che hanno il ruolo attivo nella ricerca e selezione del partner, come se ci fosse la necessità di individuare qualcuno con chi poter mettere in motto una dinamica relazionale di dominanza, che nella peggiore delle ipotesi può comportare l'avvio di comportamenti violenti. Così, nei rapporti eterosessuali, ad un persecutore (generalmente sono uomini) egocentrico, dominatore, impulsivo e con un io ipertrofico, corrisponderebbe una persona (generalmente sono donne) insicura, ipersensibile, pasiva, con scarsa autostima e capace di sopportare. Ecco perché si dice che nell'ambito di quelle relazioni che favoriscono la reiterazione ciclica di comportamenti violenti e il loro conseguente consolidamento, esistano delle collusioni che contribuiscono ad alimentare quella tipologia di circuiti relazionali viziosi (i quali a volte addiritura possono tradursi in manovre non gestibili, che possono essere generatrici di atti criminali). Altro non sono che un "gioco" condiviso dietro il quale vi è l'illusione/aspettativa di poter essere vincitori, e che sottintendono diversi livelli di ambiguità e di frustrazione da ambe le parti.
E' come se venisse stimolato un gioco appunto, in cui ci si è maledettamente incastrati dentro ed è difficile uscirne; coloro che, arrivando dall'esterno pretendono interromperlo, possono essere affrontati come delle presenze invadenti e indesiderate, anche da parte di chi rischia pesantemente la propria incolumità nel seno di una tale relazione (come si evince dalla cronaca giornalistica riguardo il comportamento della donna maltrattata a cui facevamo riferimento nel paragrafo iniziale).


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Decia el titular del periodico, su pareja la golpeava y la policia tuvo que intervenir para detenerlo, y ella ... reaccionó agrediendo a quienes habian llegado para protegerla. Un comportamiento aparentemente paradojal el de la mujer, que puede desencadenar perplejidad en quién como observador externo juzga incompresible esta reacción inesperada, por su explicito contenido ilógico.
Lo que no sabia el periodista che contaba el episodio, es que la relación de pareja representa el ejemplo por excelencia de aquellas relaciones con intenso involucramiento afectivo, en las cuales se creano vinculos estrechos en grado de dar un sentido e una identidad a quienes hacen parte de él. Efectivamente, en general se dice que en el tiempo, los miembros de una pareja tienden reciprocamente a hacer propias muchas de las modalidades y de los estilos de comunicación del conyugue, imitándolos y/o incrementando aquello que los complementa; ésto a su vez estimula y consolida el intercambio global entre los componentes de la relación. Es asi que a través de este proceso compartido di conocimiento y mímesis activo en toda relación de pareja, las personas construyen su identidad que puede tener la potencia de organizar el modo con el cual cada uno interactua (sea dentro que fuera de la pareja). No solo, en este contexto relacional de cambio intenso y de complementariedades reciprocas, este proceso construye lo que viene conocido como "la identidad de la pareja" según la cual cada miembro integrante de la relación contribuye implicitamente o explicitamente a poner en pié aquellas caracteristicas que identifican y diferencian cada pareja de las otras.
¿Pero, qué sucede en aquellas relaciones de pareja en las que se explicitan comportamientos agresivos y violentos pero de las cuales no es posible liberarse?,¿cómo asi ser destruido por el maltrato que proviene de la pareja no siempre es un poderoso y decisivo estimulo que empuja a dejar la relación, para salvar la piel?
Recordemos antes que nada, que las relaciones de pareja basan sus dinámicas de intercambio y continuidad a partir de la prevedibilidad relacional (sé que puedo esperarme de él/ella y viceversa).Ello puede favorecer la consolidaciòn de aquella complementariedad original buscada y a partir de la cual las personas inicialmente se escogieron.
Según la observación clinica de las relaciones disfuncionales y patológicas, pareceria que son los asi llamados verdugos o perseguidores quienes tienen un rol activo en la búsqueda y selección de la pareja, como si tuviesen la necesidad de encontrar alguien con quien poder iniciar una dinamica de relación de dominación, que en la peor de las hipotesis puede concretizar la activación de comportamientos violentos. Es asì que en las relaciones heterosexuales, a un perseguidor (generalmente son hombres) egocentrico, dominador, impulsivo y con un yo hipertrofico, corresponderia una persona (generalmente son mujeres) inseguras, hipersensibles, pasivas, con poca autoestima y capaz de soportar. Es por ello que se dice que en el ámbito de aquellas relaciones que favorecen reiterativamente los comportamientos violentos y su consecuente consolidación, existen unas colusiones que contribuyen a alimentar aquella tipologia de circuitos relacionales viciosos (los cuales a veces pueden traducirse en maniobras no controlables, que pueden llegar a ser generadoras de actos criminales). No son otra cosa que un "juego" compartido detras del cual existe la ilusión/expectativa de poder ser vencedores, y que implicitamente involucran diferentes niveles de ambiguedad y de frustración por ambos lados.
Es como si fuera estimulado un juego,en el cual las personas se encuentran malditamente encastradas  y del cual les es dificil poder salir. Aquellos que llegando del externo pretenden interrumpir el juego, pueden ser afrontados como presencias invasivas e indeseadas, incluso de parte de quien arriesga su propia incolumidad en el seno de una tal relaciòn (como evidencia la cronica periodistica acerca del comportamiento de la mujer maltratada, a la cual haciamos referencia en el parrafo iniciale).












giovedì 28 agosto 2014

Il sortilegio in politica e l’ideologia del nulla: tristi espressioni del pensiero acritico ( El hechizo en politica y la ideologia del vacio: tristes manifestaciones del pensamiento acritico)




Qualche giorno fa, un noto leader politico conservatore italiano fece delle dichiarazioni piuttosto sbalorditive. In poche parole, questo pittoresco personaggio si lamentava di esser stato segnato da un congetturato sortilegio (secondo lui, per opera di coloro che proteggevano dalle sue parole offensive, il “nemico” politico da lui fortemente insultato in precedenza).
Denotando la propria ignoranza sul argomento e un penoso stato di confusione mentale (e di pensiero), parlava di un ipotetico rituale di “macumba” subito e del suo bisogno di essere aiutato dall’esorcismo, come se si trattasse di pratiche e di rituali che si corrispondessero (non solo a livello logico ma anche dal punto di vista delle cosmovisioni e dei principi magico religiosi sottostanti), sollecitando l’aiuto di un “esperto” in materia. Sarebbe come, da un’altra prospettiva di cura, volere combattere il mal di testa facendo una cura per un’infezione intestinale.
Sempre secondo lui la presumibile influenza maligna l’avrebbe condannato a vivere, nell’arco di un breve periodo di tempo, una catena di svariati eventi malaugurati di indoli diversi nella sua vita privata, l’ultimo dei quali era stato la presenza di un serpente in casa sua che lui aveva trucidato e per questo motivo era stato anche denunciato, trattandosi di una specie protetta.   
“Non ci far litigare” –disse la Regina Bianca con tono ansioso- “Qual è la causa del lampo?”
“La causa del lampo” –disse risolutamente Alice, perché ne era quasi certa- “è il tuono… no, no” –si corresse in fretta- “volevo dire viceversa…”. “E’ troppo tardi per correggersi” –disse la Regina Rossa- “quando hai detto una cosa, è così e ne devi subire le conseguenze”.
Ecco, porsi domande, auto riflettere, cercare delle risposte, fanno parte del processo continuo del nostro vivere la vita, è la modalità attraverso la quale cerchiamo di capire la complessità delle nostre esistenze e per fare in modo che le nostre vite traducano e rispecchino il tentativo  del vivere di ognuno sulla base di ciò che decidiamo abbia valore. Questo processo riflessivo continuo ha necessariamente degli effetti, delle conseguenze, sulle nostre vite e quindi su ciò che noi facciamo. Percepiamo attraverso le inferenze e deduzioni che a loro volta ci inducono a trarre delle conclusioni che confermano i nostri principi esplicativi costituendo un cerchio cognitivo e di scelte decisionali continuo. Sta a noi fare si che la circolarità dei nostri ragionamenti sia in grado di avviare processi di pensiero e di azione virtuosi aperti a livelli logici in grado ogni volta di più di raggiungere prospettive più elaborate di analisi e di comprensione.
Quel noto politico ingenuamente, con le sue parole ha messo in evidenza la sua scarsa consapevolezza riguardo ciò che lui stesso contribuisce a costruire nel suo rapporto con la realtà circostante attraverso il proprio pensiero acritico e semplicistico : un susseguirsi di sciagurate affermazioni che lo costringono (inesorabilmente), a vivere in una realtà impoverita da luoghi comuni e costruita a partire da stereotipi ideologici autoreferenziali, da pregiudizi etnocentrici (molti di essi carichi di violenza e aggressività). In effetti, nel suo mondo (e ovviamente anche di quello dei suoi seguaci) non vi è spazio per l’apertura e l’onesta dei sentimenti verso i così detti “diversi” ma solo per il compiacimento del pensiero unico omogeneo; scarsamente consapevole della propria povertà intellettuale, per niente empatico e incapace di osservare ciò che accade in torno a loro stessi.
Un pensiero politico che pretende fare una diagnosi della realtà partendo dall’ignoranza dei propri pregiudizi, anzi avvalendosi inconsapevolmente di essi, non è altro che una politica vuota fatta da costrutti inventati arbitrariamente a partire dal pensiero banale e sciatto, non critico e non creativo. Esso può soltanto comportare l’impossibilità costitutiva di non essere mai in grado di trovare migliori modi di pensare per migliorare la vita in società. 



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Hacen algunos dias, un conocido lider politico conservador italiano hizo unas declaraciones sorprendentes. En pocas palabras, éste personaje pintoresco se lamentaba de haber sido marcado por un supuesto embrujo (según él por obra de aquellos que han protegido de sus palabras ofensivas, al “enemigo” politico que él mismo habia precedentemente ofendido).
Haciendo ver su ignorancia acerca del tema y un penoso estado de confusión mental (y de pensamiento), hablaba de un improbabile ritual de “macumba” y acerca de la necesidad de ser ayudado por intermedio del esorcismo, como si se tratase de practicas y rituales equivalentes (no solo del punto de vista lógico sino también de cosmovisiones analogas con principios magico religiosos similes), solicitando  la ayuda de un “experto” en la materia. Seria como si desde otra perspectiva de cura, se quisiera combatir una cefalea haciendo una cura para una infección intestinal.
Sempre según él mismo, la presunta influencia maligna lo habria condenado a vivir, en un breve espacio de tiempo, una cadena de diversos malaventurados eventos en su vida privada, el último de los cuales habria sido la visita de un serpente en su casa, que habia matado y por lo cual habia sido denunciado por tratarse de una specie protegida.
“No nos hagas pelear” dijo la Reina Blanca en tono ansioso – “¿Cual es la causa del relámpago?”
“La causa del relámpago” –dijo resueltamente Alicia, porque era casi convencida- “es el trueno, no, no….”  -si corrigió apresuradamente-  “queria decir al contrario…” “Es demasiado tarde para corregirte” –dijo la Reina Roja-  cuando has dicho una cosa es asi y debes sufrir las consecuencias de ello.”
Exactamente, ponerse preguntas, auto reflexionar, buscar respuestas, hacen parte del proceso continuo de nuestro vivir la vida, es la modalidad con la cual tratamos de entender la complejidad de nuestras existencias y hacer en modo que nuestras vidas traduzcan y reflejen el tentativo de cada uno de vivir en base a aquello que tiene valor para nosotros. Este proceso reflexivo continuo provoca necessariamente efectos, consecuencias, sobre nuestras vidas y por ende sobre lo que hacemos.
Percibimos a través de las inferencias y deducciones que a su vez nos inducen a costruir conclusiones que confirmen nuestros principios explicativos constituyendo un circulo cognitivo y de elecciones decisionales continuo. Dependerà de nosotros hacer que la circularidad de nuestros razonamientos sea capaz de estimular procesos de pensamiento y de acción virtuosos abiertos a niveles lógicos en grado cada vez más de alcanzar prospectivas más elaboradas de análisis y de comprensión.
Aquel conocido politico ingenuamente, con sus palabras ha puesto en evidenzia su escasa conciencia acerca de lo que él mismo es capaz de poner en pié en su relación con la realidad circundante a través de su mismo pensamento acritico y simplista: una cadena de desafortunadas afirmaciones que lo costringen (inexorablemente) a vivir en una realidad pauperizada por lugares comunes construidos desde estereotipos ideologicos autoreferenciales, por prejuicios etnocéntricos (muchos de ellos cargados de violencia y agresividad). En efecto, en su mundo (y obviamente también del de sus seguidores) no hay espacio para la apertura y la honestidad de los sentimientos hacia los asi llamados « diferentes » sino solo para el complacimiento respecto al pensamiento unico y homogeneo ; con escasa conciencia de la propia pobreza intelectual, para nada empático incapaz de observar lo que succede alrededor de ellos mismos.
Un pensamiento politico que pretende cumplir un diagnostico de la realidad a partir de la ignorancia de sus propios prejuicios, o mas bien sirviéndose de ellos, no es otra que una politica vacia hecha en base a constructos inventados arbitrariamente desde el pensamiento banal y chato, no critico y no creativo. Ello puede solo comportar la imposibilidad constitutiva de no poder ser capaz jamás de encontrar mejores modos de pensar para mejorar la vida en sociedad.

sabato 2 agosto 2014

Cosa sono le dipendenze dal virtuale? (¿Qué cosa son las dependencias del virtual?)




L’Hikikomori è una sindrome studiata nella popolazione degli adolescenti in Giappone, che etimologicamente  significa “mi ritiro”. Si caratterizza dal fatto che il ragazzo che ne è affetto costruisce un rapporto esclusivo con le realtà virtuali di Internet e dei videogiochi o la televisione, all’interno delle quattro mura della propria abitazione dove cerca un rifugio protettivo (anche rispetto ai propri familiari).
Sembrerebbe che tra i giovanissimi, nelle sue forme più gravi, esse siano legate ad un disagio vissuto in età adolescenziale (e anche durante la pubertà) in ambito relazionale, probabilmente stimolato da contesti sociali altamente competitivi o anche violenti. “Tutti mi prendono in giro…”; “non riesco ad andare d’accordo con gli altri…”; “sono stato minacciato più volte..”; sono alcune delle frasi con cui spesso tendono a giustificare la propria chiusura verso il sociale. Quindi, l’auto percezione di fragilità da parte del ragazzo o ragazza, oppure la sua incapacità a tollerare dei livelli alti di stress in ambiti interpersonali, favorirebbero l’auto esclusione. La motivazione sottostante sarebbe in molti casi, la percezione di avere a che fare con rapporti e contesti nei confronti dei quali vi è un senso di soggezione, inadeguatezza o impreparazione, che penalizza drammaticamente la loro vita di relazione.
In età giovanile, è riscontrabile anche fra coloro che si trovano a subire condizioni di vita di grossa difficoltà familiare o sociale come possono essere quelle delle persone sole, dei disoccupati, di coloro che sono in cassa integrazione o con delle difficoltà intra familiari. In questi casi, gli specialisti preferiscono parlare di un rapporto patologico con le tecnologie della comunicazione. Questa tipologia di rapporto, può avere una precisa durata di tempo (alcuni mesi), una discontinua che in genere finisce per esaurirsi nella misura in cui il soggetto stesso modifica il comportamento additivo, uscendone. Per alcuni è necessario non rinnovare l’abbonamento internet, come una strategia estrema di interruzione del comportamento ossessivo.
Il carattere compulsivo del comportamento, insito alle dipendenze, può associarsi a tutte le varianti potenzialmente gratificanti di cui è in grado attualmente di offrire lo spazio virtuale: il gioco d’azzardo on line, i giochi di ruolo on line, gli acquisti on line compulsivo, il sesso virtuale, le relazioni via chat rooms, ecc. Questa nuova tipologia di dipendenza è frequentemente associata a sintomatologie depressive e ossessivo compulsive. Comunque si può parlare di un vero e proprio comportamento psicopatologico, di dipendenza appunto, dal momento in cui diviene coattivo, ripetitivo che stimola il “craving” (desiderio forte). 
L’uso consapevole, equilibrato e razionale del mezzo (di informazione e di comunicazione) dipende dalla capacità del utente per trovare un equilibrio tra la concretezza di ciò che avviene nel mondo reale e le possibilità apparentemente infinite del mondo virtuale. Questa equilibrio può essere la premessa a partire dalla quale fare sì che il mezzo si adatti alle nostre esigenze di trovare nuovi strumenti che ci aiutino ad affrontare meglio una realtà sociale sempre più complessa e imprevedibile.


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El Hikikomori es un sindrome estudiado entre la población de adolecentes del Japón, que etimologicamente significa “me retiro” . Se caracteriza por el hecho que el chico que ha sido afectado se construye una relación exclusiva con las realidades virtuales de Internet y de los videojuegos o de la televisión, dentro de las cuatro paredes de su casa en donde busca un refugio protector (también respecto a sus familiares).
Pareceria que entre los más jovenes, sus formas más graves, estén ligadas a un malestar psicológico vivido durante la adolescencia (y también durante la pubertad) en ámbito relacional, probablemente estimulado por contextos sociales muy competitivos o violentos. “Todos se rien de mi…”; “no logro ir de acuerdo con los demás…”; “he sido amenazado varias veces…”; son algunas de las frases con las cuales tienden a justificar el proprio cierre frente al social. Por lo tanto, la autopercepción de fragilidad por parte del chico o de la chica, o sino su incapacidad a tolerar niveles altos de stress en ámbitos interpersonales, favorecerian su auto exclusión. La motivación subyacente seria en muchos casos, la percepción de tener que afrontar relaciones y contextos frente a los cuales existe un sentido de sumisión, inadecuación o impreparación, que castigan drammaticamente sus vidas de relación.
En edad juvenil, se le encuentra también entre quienes viven condiciones de vida de fuerte dificultad familiar o social, como pueden ser aquellas de personas solas, de los desocupados, de aquellos que están en el Fondo de Garantia Salarial o que tienen dificultades intra familiares. En estos casos, los especialistas prefieren hablar de una relación patológica con las tecnologias de las comunicaciones. Esta tipologia de relación puede tener una precisa duración de tempo (algunos meses), una discontinuidad que generalmente termina por extinguirse en la medida en que el sujeto mismo modifica el comportameiento adictivo, dejandolo. Para algunos es necessario no renovar el abono internet, como estrategia estrema de interrupción del comportamento obsesivo.
El carácter compulsivo del comportamento, proprio de las dependencias, puede asociarse a todas las variantes potenzialmente gratificantes que actualmente es capaz de ofrecer el espacio virtual: el juego de azar on line, los juegos de roles on line, las compras compulsivas on line, el sexo virtual, las relaciones en chat rooms, etc. Esta nueva tipologia de dependencia está frequentemente asociada a sintomatologias depresivas y obsesivo compulsivas. De cualquier forma, se puede hablar de un verdadero comportamiento psicopatologico, de dependencia, desde el momento en el cual deviene coactivo, ripetitivo que estimula el “craving” (deseo fuerte”).
El uso conciente, equilibrado y racional del medio, depende de la capacidad del usuario en encontrar un equilibrio entre la concretitud de lo que succede en el mundo real y las posibilidades aparentemente infinitas del mundo virtual. Este equilibrio puede ser la premisa a partir de la cual hacer que el medio (de información y de comunicación), se adapte a nuestras exigencias por encontrar nuevos instrumentos que nos ayuden a afrontar mejor una realidad social cada vez más compleja e imprevedible.




giovedì 26 giugno 2014

E’ possibile vivere malgrado quei dolori lancinanti? (¿Es posible vivir a pesar de aquellos dolores lancinantes?)



L’altro giorno arrivò alla mia buca delle lettere una "pubblicità" lasciata dai “procacciatori di salvezza porta a porta”,  in cui si proponeva provocatoriamente la   domanda "smetteremo mai di soffrire?” Come se nella vita vi  fossero delle situazioni tali, che in quanto esperienze tragiche e inaspettate, potessero in senso fatalistico, soltanto elicitare risposte univoche di sofferenza appunto….e pensavo per esempio a situazioni così drammatiche come quelle in cui i genitori sopravvivono ai propri figli, quindi di perdite avvenute per cause tutt’altro che naturali. Quelle perdite così difficili da accettare come per poter affrontarne il senso e passare oltre per ritrovare il flusso vitale e generativo bloccato dalle perdite subite. Come accettare di essere testimoni dei dolori della vita di fronte a vite brevi spezzate da agenti maledettamente imprevisti, circostanziali e uscirne indenni?
Sono vissuti che fanno riferimento a dei significati talmente intimi e privati che a malapena potremmo cogliere finché non fanno parte del bagaglio personale di ognuno di noi (perché il dolore si conosce dalla esperienza). Il dolore e la sofferenza sono emozioni che accompagnano l’esistenza umana e pure a seconda come gli viviamo soggettivamente, a volte ci impedisce di condividerle per poter trasformare l’assenza in ricordo. Scoprire quindi che ambi due sono l’espressione del processo evolutivo insito nel cerchio della vita può farne la differenza. Parafrasando l’autore diremmo che essi sono intrinsecamente legati alla nostra condizione umana, nella quale la morte (che fa parte della vita) è una ferita profonda che guarisce spontaneamente a condizione che non si faccia niente per ritardarne la cicatrizzazione.
Nell’ambito della clinica delle perdite e del lutto vi è il principio secondo il quale la condivisione della sofferenza ci apre alla possibilità di fare quel po’ di chiarezza nel mezzo del buio del dolore lancinante, che ci può aiutare a non perdere la consapevolezza di fare parte comunque di un processo evolutivo più ampio, costante e del quale siamo protagonisti (volenti o nolenti).

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El otro dia llegó a mi buzón de cartas una “publicidad” dejada por unos “proveedores de salvación puerta a puerta”, en la que se proponia provocativamente la pregunta “¿dejaremos alguna vez de sufrir?”. Como si en la vida hubiesen situaciones que como experiencias trágicas e inesperadas, pudiesen en sentido fatalista, solo estimular respuestas univocas , o sea de sufrimiento…. y pensaba por ejemplo a situaciones tan dramáticas como aquellas en las que los padres sobreviven a sus hijos, es decir pérdidas por causas que no son naturales. Aquellas pérdidas tan dificiles de aceptar como para poder afrontar su sentido e ir más allá para retomar el flujo vital y generador bloqueado por las pérdidas mismas. ¿Cómo aceptar ser testigos de los dolores de la vida frente a vidas breves interrumpidas por agentes malditamente imprevistos, circunstanciales e salir indemnes ?
Son vivencias que se refieren a unos significados muy intimos y privados que a duras penas podremos entender mientras que no sean parte de nuestro bagaje personal (por que el dolor se conoce por la experiencia). El dolor y el sufrimiento son emociones que acompañan la existencia humana y sin embargo según cómo los vivimos subjetivamente, a veces nos impide di compartirlos para poder transformar la ausencia en recuerdo. Decubrir que ambos son la expresión del proceso evolutivo inherente al circulo de la vida puede hacer la diferencia. Parafraseando el autor diria que estos están intrinsecamente ligados a nuestra condición humana, en la qual la muerte (que es parte de la vida) es una herida profonda que se sana expontaneamente a condición que no se haga nada que retraze el proceso de cura.
En el ámbito de la clinica de las pérdidas y del luto existe el principio según el cual compartir el sufrimiento nos permite abrirnos a la posibilidad de hacer un poco de claridad en medio a la oscuridad del dolor lancinante, que puede ayudarnos a no perder conciencia de ser parte de un proceso evolutivo mas amplio, constante y del cual  somos protagonistas (queriéndolo o no).


giovedì 15 maggio 2014

Disagio psicologico e ignoranza ecologica : due facce della stessa medaglia epistemologica (Malestar psicologico e ignorancia ecologica: dos caras de la misma medalla epistemològica)

Vi è un ampio accordo diffuso fra i diversi studiosi sul cambiamento verificatosi nel contesto delle psicoterapie sistemiche (riguardo il comportamento umano, le relazioni, le emozioni e le attribuzioni di significati), a proposito delle modalità con le quali gli individui trovano gli strumenti ermeneutici che gli permettono di avviare dei micro processi evolutivi lungo il percorso terapeutico.
L’enfasi viene posta sulla persona dello psicoterapeuta, essendo che lui (lei) innesca non solo delle consapevolezze riguardo come osservare per raccogliere dei dati (e non delle cause esplicative), ma anche sul come apprendere da ciò che emerge da tale processo esplorativo costante, a più livelli. E non solo, anche le domande con cui lo psicoterapeuta acquisisce delle informazioni fanno sì che vengano stabilite delle connessioni dei dati in unità di analisi almeno triadiche (del tipo, "Giovanni parla con Sofia per fare capire a Susanna"…) che mettano in relazione i diversi “pezzi” del puzzle. Ciò a sua volta  rispecchia la complessità delle dinamiche relazionali in gioco, secondo il principio “il complesso spiega il semplice”.
Ecco che l’arte di porre delle domande non banali, dipende in primis da questa ricerca attiva da parte dello psicoterapeuta, per dare spazio ad una narrazione alternativa plausibile in cui non venga fotografata la realtà, ma attraverso la quale ci si aprano delle opzioni inesplorate oltre i vincoli, i pregiudizi e le congetture in cui l’individuo era rimasto impigliato.
Come mai l’ermeneutica che sottende uno sguardo incentrato sulla monade (cause interne) o la dìade (relazione causa-effetto) con cui le persone comuni tendono a decodificare-interpretare-affrontare i dilemmi e le difficoltà presenti nelle le loro vite, possono divenire cause della propria infelicità? Seguendo la logica dell’ analisi pragmatica comparata, basti osservare ciò che a livello dei macro sistemi succede per via dell'ignoranza ecologica con cui dei governi del nostro pianeta (curiosamente, sopra tutto quelli economicamente più potenti) si sono rapportati con l’ambiente lungo i diversi periodi della storia dell’umanità fino ai giorni nostri. Essa sta portando ai suoi abitanti verso delle condizioni di vita minacciata da cambiamenti climatologici e bio sistemici epocali ogni volta più difficili da gestire….fino al punto di rischiare la nostra propria estinzione.
Anche se le motivazioni sottostanti e la natura dei processi impliciti in gioco nel rischio della nostra fine come specie rispetto a quelli impliciti nella sofferenza psicologica degli individui sono molto diversi fra di loro, ambe due le situazioni ci riportano ad avere a che fare con dei sentimenti di impotenza analoghi di fronte a degli effetti indesiderati, che vanno dalla cronicizzazione degli stessi alla collusione accecante rispetto alla complessità dei fenomeni coinvolti, per cui paradossalmente coresponsabile dell’amplificazione degli effetti dannosi osservati.

  

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Existe amplio acuerdo entre los distintos estudiosos del cambio que se verifica en el contexto de las psicoterapias sistémicas (referido al comportamento humano, las relaciones, las emociones y las atribuciones de significados), a proposito de las modalidades a través de las cuales los individuos encuentran los instrumentos hermenéuticos que activen micro procesos evolutivos a lo largo del recorrido terapeutico.
El énfasis se pone en la persona del psicoterapeuta, siendo che él (ella) gatilla la conciencia no solo acerca de còmo observar para recoger datos (en lugar de causas explicativas), sino también acerca de còmo aprender de aquello que emerge de tal proceso exploratorio constante, a varios niveles. Y no solo, también las preguntas con las cuales el psicoterapeuta adquiere informaciones, hacen que se establezcan  conexiones de los datos en unidades de analisis por lo menos triadicas (del tipo, “Juan habla con Sofia para que Susana entienda”…) que ponen en relaciòn los distintos“pedazos”del rompe-cabeza. Ello a su vez refleja la complejidad de las dinamicas relacionales en juego, segùn el principio “la complejidad explica el simple”.
Asì, el arte de poner preguntas no banales, depende en primer lugar de una bùsqueda activa por parte del psicoterapeuta, por dar espacio a una narraciòn alternativa plausibile en la cual la realidad no es fotografiada, sino que a través de aquella se abren opciones no exploradas que van màs allà de los vinculos, los prejuicios y las conjeturas en las que el individuo se habia quedado imprisionado.
¿Còmo asì la hermenéutica que supone una mirada concentrada en la monada (causas internas) o las diadas (relaciòn causa-efecto) con la cual las personas comunes tienden a decodificar-interprentar-enfrentar los dilemas y dificultades presentes en sus vidas, pueden devenir causas de su propia infelicidad?
Siguiendo la lògica del analisis pragmatico comparado, baste observar lo que succede a nivel de los macro sistemas. En razòn de la ignorancia ecologica con la cual muchos gobiernos de nuestro planeta (curiosamente, sobre todo aquellos economicante màs potentes) se han relacionado con el ambiente a lo largo di diversos periodos de la historia de la humanidad hasta nuestros dias, estàn llevando a sus habitantes hacia condiciones de vida amenazada por cambios climatològicos y bio sistémicos epocales cada vez màs dificiles de enfrentar… hasta el punto de arriesgar nuestra propia extinciòn.
Aunque si bien las motivaciones subyacentes y la naturalezza de los procesos implicados en juego en el riesgo de nuestro fin como especie respecto a aquellos implicados en el sufrimiento psicologico de los individuos son muy diferentes entre si, ambas situaciones nos colocan en la posiciòn de provar sentimientos de impotencia frente a unos efectos indeseados anàlogos que van desde la cristalizacion de los mismos a la colusiòn enceguecedora rispecto a la complejidad de los fenomenos involucrados, por lo tanto paradojalmente coresponsable de la amplificaciòn de los efectos dañinos observados.

giovedì 20 marzo 2014

Da genitori a figli: le inferenze che fanno male (De padres a hijos : las inferencias que hacen mal)



Per me, una di quelle esperienze che considero personalmente più frustranti e con cui sono spesso a contatto per il mio lavoro clinico, riguarda il fatto di essere testimone dell’ineluttabilità con cui può essere consolidato e trasmesso il disagio psicologico, diffondendosene a macchia d’olio indisturbato, da una generazione alla altra.
Nella stanza in cui esercito il mio lavoro da psicoterapeutara, tra le tante storie che  mi raccontano della difficoltà di vivere, molte di esse mi mettono a stretto contatto con persone portatrici di narrazioni di vite costruite intorno e a partire dall’abuso di sostanze. Sono perlopiù giovani adulti che provengono da percorsi di infanzie ferite e infelici. Individui che crescono all’interno di processi evolutivi di effetto deformante, nei quali hanno vissuto esperienze di abbandono, di abuso e/o di trascuratezza.  Ciò che più mi colpisce è verificare quanto spesso succede da quando queste persone divengono genitori, ne mettano in atto comportamenti che portano a definire loro stessi “dei cattivi genitori”: inaffidabili e assenti. Incapaci di proporre delle modalità di relazione di cura e di affetto alternative a quelle da loro stessi ricevute, agiscono quindi trasmettendo intergenerazionalmente sui propri figli ciò che di  doloroso e malsano hanno vissuto sulla propria pelle.
In fatti, quasi come se vi fosse una coazione a ripetere, ne vengono riproposti modelli e stili di relazione di cui non ne possono fare a meno, nonostante abbiano gli stessi effetti pragmatici di sofferenza, di abbandono e di trascuratezza sui loro figli, simili alle esperienze da loro subite. Ed è così che finiscono per trasmettere una catena dolorosa di comportamenti, di relazioni e di emozioni che imprigiona e condiziona i loro figli, e che non sempre sono disposti a (inte)rompere. Come se la genitorialità loro gli rimettesse a contatto con delle "verità" nei confronti delle quali è impossibile differenziarsi, per cui bisogna o confermare la propria incapacità ad assolverla fuggendo dal potere essere una figura affettiva di riferimento nutriente e vicina oppure ripetendo acriticamente ciò che si è stati costretti a subire da figlio. Un tale modo fatalistico e compulsivo di agire, fa riferimento all’ingerenza di quelle credenze e pregiudizi in base ai quali ogni essere umano costruisce la propria identità e che non sempre si è disposti a mettere in discussione; ancora di più se con esse (paradossalmente) ci si impara ad ottenere delle rassicurazioni piacevoli immediate e di conseguenza ne ha sviluppato un  rispetto reverenziale, acritico.



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Para mi, una de esas experiencias que considero personalmente más frustrante y con las quales estoy frecuentemente en contacto por mi trabajo clinico, se refiere a ser testigo de la ineluctabilidad con la cual se puede reforzar y trasmitir el malestar psicológico, difundiéndose como mancha de aceite imperturbable, de una generaciòn a la otra.
En el espacio en donde ejerzo mi trabajo de psicoterapeuta, entre las tantas historias que  me cuentan acerca de la dificultad de vivir, muchas de éstas me ponen en estrecho contacto con personas que cargan consigo narraciones de vida construidas alrededor y desde el abuso de substancias. Son generalemente jovenes adultos que provienen de recorridos de infancias heridas e infelices. Individuos que han crecido dentro de procesos evolutivos con efecto deformador, en los cuales han vivido experiencias de abandono, de abuso y/o de descuido. Lo que más me golpea es, comprobar cuánto frecuentemente sucede que cuando estas personas devienen genitores, actúen comportamientos que llevan a definirlos como unos “malos genitores”: no confiables e ausentes. Incapaces de proponer modalidades de relación de cuidado y afecto, alternativas a aquellas que ellos mismos recibieron, actuando por lo tanto en forma tal que trasmiten intergeneracionalmente a sus hijos aquello que de doloroso y malsano han vivido sobre su propia piel.
En efecto, casi como si hubiese una coerciòn a repetir, son repropuestos modelos y estilos de relación que no pueden ignorar, a pesar de que éstos tengan los mismos efectos pragmáticos de sufrimiento, abandono y descuido sobre sus hijos, semejantes a las experiencias sufridas por ellos mismos. Es asi que terminan por transmitir una cadena dolorosa de comportamientos, de relaciones y de emociones que aprisionan y condicionan sus hijos, y que no siempre son dispuestos a interrumpir. Como si el ser genitores crease la condición de estar a contacto con  “verdades”  frente a las cuales es imposible diferenciarse, por ende se hace necesario, o confirmar la propia incapacidad a absolverla huyendo de la posibilidad de ser una figura afectiva de referenzia nutritiva y cercana o sino repitiendo acriticamente aquellos comportamientos sufridos como hijo. Este modo fatalista y compulsivo de actuar tiene que ver con la ingerencia de creencias y prejuicios en base a los cuales cada ser humano construye su identidad y que no siempre està dispuesto a poner en discusiòn; màs aùn si con ellas (paradojalmente) ha aprendido a obtener aseguraciones placenteras inmediatas y consecuencialmente ha desarrollado un respeto reverencial, acritico.