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venerdì 3 agosto 2018

La politica ai tempi della paura e dell’ incertezza sociale (La politica en tiempos de miedo e incertidumbre social)






Socialmente, viviamo in Italia un periodo storico in cui le emozioni più frequenti con le quali abbiamo a che fare sono l’ansia, la rabbia, il rancore, la diffidenza, ma anche la paura; tutte esse dei contenuti promotori di disagio psicologico con valenza depressogena/ansiogena. Probabilmente vi è uno stretto collegamento con il fatto che come nazione (e come continente), ci troviamo a vivere in un periodo della storia mondiale caratterizzata da grossi cambiamenti e sfide: quindi la convinzione di vivere in una società monoliticamente stabile, esenta da imprevisti, incertezze e di insicurezze, ormai è un pensiero da tempo fatto a pezzi dalle sfide delle congiunture che l’andamento dell’economia mondiale ci obbliga in un modo o nell’altro ad affrontare. Tale consapevolezza piuttosto richiederebbe (a cominciare dai protagonisti della politica in generale e in particolare di quella conservatrice), un approccio alla realtà basato sull’ ingegno, sulla fiducia e sulla creatività.  E pure, oggi più che mai le emozioni tossiche della gente comune, elencate prima, circolano e si diffondono attraverso le reti sociali ad una velocità vertiginosa, amplificando piuttosto un approccio che rifiuta l’apertura verso soluzioni nuove, a partire dalla fiducia collettiva e nella solidarietà sociale (che invece spesso è l'antecamera ad agiti di violenza nei confronti di coloro visti come ospiti indesiderati). 

I venditori di illusioni di turno della politica, propongono la ricetta della chiusura: dobbiamo tornare ad essere tribù ci dicono, chiuderci dentro i propri confini geografici e culturali, perché se non lo facciamo non solo rischiamo di annientare gli scarsi spazi di comfort e sicurezza che tuttora restano, ma anche la possibilità di essere deprivati da un’identità pura, rassicurante perché già familiare. Attualmente siamo testimoni quotidiani di una politica che sfrutta e fa eco all’ emozionalità più distruttiva, quella che mette le persone contro altre persone (approccio non molto diverso dal terribile “mors tua vitae mea”), tutto ciò in nome di una proposta falsamente rassicurante. Ma, siccome sappiamo che la storia dell’umanità non è il risultato di un percorso lineare, perché essa è costruita dalle scelte che vengono compiute dagli stessi uomini -anche a partire dalle azioni sciagurate agite in nome del proprio clan etnico, principio o credo- , non stiamo sicuramente parlando di qualcosa che appartiene esclusivamente al folklore di una politica bieca e ignorante, ma del rischio di avviare una deriva disumanizzante, socialmente autodistruttiva.

Mi piace pensare la politica come una dimensione dell’agire umano, attraverso il quale le persone non perdono la loro umanità, anzi ne vengono nobilitate. Per questo motivo, mi rimane il grosso dubbio su quella che è la motivazione sottostante a quella politica della demagogia populista, come modalità di azione e di reclutamento: proprio perché ignoranti soffiano irresponsabilmente sui venti dell’incertezza sociale pensando di corrispondere ai bisogni di fiducia e certezze della popolazione oppure, lo fanno consapevoli della presa che può avere cavalcare l’onda delle paure, per favorire i loro propri interessi di gruppo?  

Una cosa è certa, è assolutamente necessario che la politica, quella della civiltà e della convivenza, sappia cos’è la natura umana, per essere in grado di stimolarla a farla progredire.

Quindi, se partiamo dalla premessa che l’essere umano è per definizione emozionale, e che di conseguenza spesso e volentieri rischia di esserne vittima dei propri timori infondati e dei pregiudizi ancestrali (anche per via delle proprie incertezze), risulta fondamentale per gli opinion leader, o partiti politici che siano, stimolare quelli elementi caratteristici dell’intelligenza emozionale: per coltivare consapevolmente l’empatia e la sensibilità sociale di fronte agli altri esseri umani; ad essere flessibili e curiosi, soprattutto difronte a ciò che non si conosce; ad avere uno sguardo aperto alla novità e al cambiamento perché essi non solo sono gli ingredienti del progresso sociale ma anche i requisiti per costruire una società migliore, in grado di dare nuove certezze a tutti quelli che ne fanno parte.





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 Desde un punto de vista social, vivimos actualmente en Italia un periodo histórico en el cual las emociones más frecuentes con que entramos en contacto son el ansia, la rabia, el rencor, la desconfianza, como también el miedo; todas ellas con contenidos que promueven sufrimiento psicológico con una valencia depresiva y ansiosa. Quizás ello sea asociado al hecho que come nación (y como continente), nos encontramos vivendo en un periodo de la historia mundial caracterizado por grandes cambios y desafios: por lo tanto, la certeza de vivir en una sociedad monoliticamente estable, carente di imprevisiones, incertidumbres e inseguridades, es un pensamiento hecho añicos por los desafios que las conyunturas que el paso actual de la economia mundial nos obliga a hacer frente de alguna manera. Esta conciencia solicitaría mas bien (comenzando por los protagonistas de la politica en general y en especial de aquella conservadora), un acercamiento a la realidad basado en el ingenio, en la confianza e la creatividad. Y sin embargo, hoy más que nunca las emociones tóxicas de la gente común, referidas lineas antes, circula y se difunden a travez de las redes sociales a una velocidad vertiginosa, amplificando  mas bien una posición che rechaza la apertura hacia soluciones nuevas, partiendo de la confianza colectiva y la solidaridad social (que en cambio frecuentemente es la antesala a comportamientos violentos frente a aquellos que son vistos como huéspedes no deseados).

Los vendedores de ilusiones de turno de la politica, proponen la receta del cierre: debemos regresar a ser una tribu nos dicen, cerrarnos dentro de las propias fronteras geograficas y culturales, por que si no lo hacemos arriesgamos el anulamiento de los escasos espacios de comfort y seguridad que aún quedan, sino también arriesgamos la posibilidad de deprivarnos de una identidad pura, tranquilizadora porque nos es familiar. Actualmente somos testigos cuotidianos de una politica che se aprovecha y fa de eco a la emocionalidad destructiva, aquella que pone las personas contra otras personas ( una modalidad no muy diferente del terrible “muerte tuya vida mia”), todo ello en nombre de una propuesta falsamente tranquilizadora. Pero ya que la historia de la humanidad no es el resultado de un recorrido linear, porque es construido por las elecciones que las personas ejecutan –incluyendo las elecciones desastrosas que se toman en nombre del proprio clan etnico, principio o credo.-, no estamos hablando de algo que pertenece al folklore de una politica sombria e ignorante, sino del riesgo de provocar una deriva deshumanizante, socialmente autodistruttiva.

Me gusta pensar a la politica como una dimensión de la actividad humana, por la cual las persona non perden su humanidad, mas bien son ennoblecidas. Por ello me queda la fuerte duda acerca de cual es la motivación escondida de aquella politica de la demogogia populista, como modalidad de acción y reclutamento; ¿es acaso que por ignorancia soplan irreasponsablemente los vientos de la incertidumbre social pensando que al hacerlo corresponden con las necesidades de confianza y certidumbre de la población o en cambio, lo hacen porque son concientes de la ganancia que pueden obtener montando la ola del miedo a fin de favorecer sus intereses de grupo?

Una cosa es segura, es absolutamente necesario que la politica, aquella de la civilización y la convivencia, sepa cómo es la naturaleza humana, para poder estimularla y contribuir a hacerla evolucionar.

Por lo tanto, partiendo de la premisa que el ser humano es por definición un ser emotivo, y consecuentemente es frecuente que corra el riesgo de ser victima de sus propios temores infundados y de prejuicios ancestrale (relacionados con su propia incertidumbre), es fundamental que los lideres de opinión, o los partidos politicos, estimulen aquellos elementos propios de la inteligencia emotiva: para cultivar concientemente la empatia y la sensibilidad social frente a los otros seres humanos; a ser flexibles y curiosos, principalmente de frente a lo desconocido; a tener una mirada abierta a la novedad y al cambio porque son no solamente los ingredientes del progreso social sino también los requisitos a partir de los cuales poder construir una sociedad mejor, en grado de dar nuevas certidumbres a todos sus miembros.

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