Socialmente, viviamo in Italia un
periodo storico in cui le emozioni più frequenti con le quali abbiamo a che
fare sono l’ansia, la rabbia, il rancore, la diffidenza, ma anche la paura;
tutte esse dei contenuti promotori di disagio psicologico con valenza
depressogena/ansiogena. Probabilmente vi è uno stretto collegamento con il
fatto che come nazione (e come continente), ci troviamo a vivere in un periodo
della storia mondiale caratterizzata da grossi cambiamenti e sfide: quindi la
convinzione di vivere in una società monoliticamente stabile, esenta da
imprevisti, incertezze e di insicurezze, ormai è un pensiero da tempo fatto a
pezzi dalle sfide delle congiunture che l’andamento dell’economia mondiale ci
obbliga in un modo o nell’altro ad affrontare. Tale consapevolezza piuttosto richiederebbe
(a cominciare dai protagonisti della politica in generale e in particolare di
quella conservatrice), un approccio alla realtà basato sull’ ingegno, sulla
fiducia e sulla creatività. E pure, oggi
più che mai le emozioni tossiche della gente comune, elencate prima, circolano
e si diffondono attraverso le reti sociali ad una velocità vertiginosa,
amplificando piuttosto un approccio che rifiuta l’apertura verso soluzioni
nuove, a partire dalla fiducia collettiva e nella solidarietà sociale (che invece spesso è l'antecamera ad agiti di violenza nei confronti di coloro visti come ospiti indesiderati).
I venditori di illusioni di turno
della politica, propongono la ricetta della chiusura: dobbiamo tornare ad
essere tribù ci dicono, chiuderci dentro i propri confini geografici e
culturali, perché se non lo facciamo non solo rischiamo di annientare gli
scarsi spazi di comfort e sicurezza che tuttora restano, ma anche la
possibilità di essere deprivati da un’identità pura, rassicurante perché già
familiare. Attualmente siamo testimoni quotidiani di una politica che sfrutta e
fa eco all’ emozionalità più distruttiva, quella che mette le persone contro
altre persone (approccio non molto diverso dal terribile “mors tua vitae mea”),
tutto ciò in nome di una proposta falsamente rassicurante. Ma, siccome sappiamo
che la storia dell’umanità non è il risultato di un percorso lineare, perché essa
è costruita dalle scelte che vengono compiute dagli stessi uomini -anche a
partire dalle azioni sciagurate agite in nome del proprio clan
etnico, principio o credo- , non stiamo sicuramente parlando di qualcosa che
appartiene esclusivamente al folklore di una politica bieca e ignorante, ma del
rischio di avviare una deriva disumanizzante, socialmente autodistruttiva.
Mi piace pensare la politica come
una dimensione dell’agire umano, attraverso il quale le persone non perdono la
loro umanità, anzi ne vengono nobilitate. Per questo motivo, mi rimane il grosso dubbio
su quella che è la motivazione sottostante a quella politica della demagogia
populista, come modalità di azione e di reclutamento: proprio perché ignoranti
soffiano irresponsabilmente sui venti dell’incertezza sociale pensando di
corrispondere ai bisogni di fiducia e certezze della popolazione oppure, lo
fanno consapevoli della presa che può avere cavalcare l’onda delle paure, per
favorire i loro propri interessi di gruppo?
Una cosa è certa, è assolutamente
necessario che la politica, quella della civiltà e della convivenza, sappia cos’è
la natura umana, per essere in grado di stimolarla a farla progredire.
Quindi, se partiamo dalla
premessa che l’essere umano è per definizione emozionale, e che di conseguenza
spesso e volentieri rischia di esserne vittima dei propri timori infondati e dei
pregiudizi ancestrali (anche per via delle proprie incertezze), risulta fondamentale per gli opinion leader, o partiti
politici che siano, stimolare quelli elementi caratteristici dell’intelligenza
emozionale: per coltivare consapevolmente l’empatia e la sensibilità sociale di
fronte agli altri esseri umani; ad essere flessibili e curiosi, soprattutto
difronte a ciò che non si conosce; ad avere uno sguardo aperto alla novità e al
cambiamento perché essi non solo sono gli ingredienti del progresso sociale ma
anche i requisiti per costruire una società migliore, in grado di dare nuove
certezze a tutti quelli che ne fanno parte.
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Desde un punto de vista social, vivimos actualmente
en Italia un periodo histórico en el cual las emociones más frecuentes con que
entramos en contacto son el ansia, la rabia, el rencor, la desconfianza, como
también el miedo; todas ellas con contenidos que promueven sufrimiento
psicológico con una valencia depresiva y ansiosa. Quizás ello sea asociado al
hecho que come nación (y como continente), nos encontramos vivendo en un
periodo de la historia mundial caracterizado por grandes cambios y desafios: por
lo tanto, la certeza de vivir en una sociedad monoliticamente estable, carente
di imprevisiones, incertidumbres e inseguridades, es un pensamiento hecho
añicos por los desafios que las conyunturas que el paso actual de la economia
mundial nos obliga a hacer frente de alguna manera. Esta conciencia solicitaría
mas bien (comenzando por los protagonistas de la politica en general y en
especial de aquella conservadora), un acercamiento a la realidad basado en el
ingenio, en la confianza e la creatividad. Y sin embargo, hoy más que nunca las
emociones tóxicas de la gente común, referidas lineas antes, circula y se
difunden a travez de las redes sociales a una velocidad vertiginosa,
amplificando mas bien una posición che
rechaza la apertura hacia soluciones nuevas, partiendo de la confianza
colectiva y la solidaridad social (que en cambio frecuentemente es la antesala a comportamientos violentos frente a aquellos que son vistos como huéspedes no deseados).
Los vendedores de ilusiones de
turno de la politica, proponen la receta del cierre: debemos regresar a ser una
tribu nos dicen, cerrarnos dentro de las propias fronteras geograficas y
culturales, por que si no lo hacemos arriesgamos el anulamiento de los escasos
espacios de comfort y seguridad que aún quedan, sino también arriesgamos la
posibilidad de deprivarnos de una identidad pura, tranquilizadora porque nos es
familiar. Actualmente somos testigos cuotidianos de una politica che se aprovecha
y fa de eco a la emocionalidad destructiva, aquella que pone las personas
contra otras personas ( una modalidad no muy diferente del terrible “muerte
tuya vida mia”), todo ello en nombre de una propuesta falsamente
tranquilizadora. Pero ya que la historia de la humanidad no es el resultado de
un recorrido linear, porque es construido por las elecciones que las personas
ejecutan –incluyendo las elecciones desastrosas que se toman en nombre del
proprio clan etnico, principio o credo.-, no estamos hablando de algo que
pertenece al folklore de una politica sombria e ignorante, sino del riesgo de
provocar una deriva deshumanizante, socialmente autodistruttiva.
Me gusta pensar a la politica
como una dimensión de la actividad humana, por la cual las persona non perden
su humanidad, mas bien son ennoblecidas. Por ello me queda la fuerte duda acerca
de cual es la motivación escondida de aquella politica de la demogogia
populista, como modalidad de acción y reclutamento; ¿es acaso que por
ignorancia soplan irreasponsablemente los vientos de la incertidumbre social
pensando que al hacerlo corresponden con las necesidades de confianza y
certidumbre de la población o en cambio, lo hacen porque son concientes de la
ganancia que pueden obtener montando la ola del miedo a fin de favorecer sus
intereses de grupo?
Una cosa es segura, es
absolutamente necesario que la politica, aquella de la civilización y la
convivencia, sepa cómo es la naturaleza humana, para poder estimularla y
contribuir a hacerla evolucionar.
Por lo tanto, partiendo de la
premisa que el ser humano es por definición un ser emotivo, y consecuentemente
es frecuente que corra el riesgo de ser victima de sus propios temores
infundados y de prejuicios ancestrale (relacionados con su propia incertidumbre), es fundamental que los lideres de
opinión, o los partidos politicos, estimulen aquellos elementos propios de la
inteligencia emotiva: para cultivar concientemente la empatia y la sensibilidad
social frente a los otros seres humanos; a ser flexibles y curiosos,
principalmente de frente a lo desconocido; a tener una mirada abierta a la
novedad y al cambio porque son no solamente los ingredientes del progreso social
sino también los requisitos a partir de los cuales poder construir una sociedad
mejor, en grado de dar nuevas certidumbres a todos sus miembros.