Per me, una di quelle esperienze che considero
personalmente più frustranti e con cui sono spesso a contatto per il mio lavoro
clinico, riguarda il fatto di essere testimone dell’ineluttabilità con cui può
essere consolidato e trasmesso il disagio psicologico, diffondendosene a
macchia d’olio indisturbato, da una generazione alla altra.
Nella stanza in cui esercito il mio lavoro da psicoterapeutara, tra le tante storie che mi raccontano della difficoltà di vivere, molte di
esse mi mettono a stretto contatto con persone portatrici di narrazioni di vite
costruite intorno e a partire dall’abuso di sostanze. Sono perlopiù giovani
adulti che provengono da percorsi di infanzie ferite e infelici. Individui che
crescono all’interno di processi evolutivi di effetto deformante, nei quali
hanno vissuto esperienze di abbandono, di abuso e/o di trascuratezza. Ciò che più mi colpisce è
verificare quanto spesso succede da quando queste persone divengono genitori,
ne mettano in atto comportamenti che portano a definire loro stessi “dei
cattivi genitori”: inaffidabili e assenti. Incapaci di proporre delle modalità
di relazione di cura e di affetto alternative a quelle da loro stessi ricevute,
agiscono quindi trasmettendo intergenerazionalmente sui propri figli ciò che
di doloroso e malsano hanno vissuto
sulla propria pelle.
In fatti, quasi come se vi fosse una coazione a ripetere,
ne vengono riproposti modelli e stili di relazione di cui non ne possono fare a
meno, nonostante abbiano gli stessi effetti pragmatici di sofferenza, di
abbandono e di trascuratezza sui loro figli, simili alle esperienze da loro
subite. Ed è così che finiscono per trasmettere una catena dolorosa di comportamenti,
di relazioni e di emozioni che imprigiona e condiziona i loro figli, e che non
sempre sono disposti a (inte)rompere. Come se la genitorialità loro gli
rimettesse a contatto con delle "verità" nei confronti delle quali è
impossibile differenziarsi, per cui bisogna o confermare la propria incapacità
ad assolverla fuggendo dal potere essere una figura affettiva di riferimento
nutriente e vicina oppure ripetendo acriticamente ciò che si è stati costretti
a subire da figlio. Un tale modo fatalistico e compulsivo di agire, fa
riferimento all’ingerenza di quelle credenze e pregiudizi in base ai quali ogni
essere umano costruisce la propria identità e che non sempre si è disposti a
mettere in discussione; ancora di più se con esse (paradossalmente) ci si
impara ad ottenere delle rassicurazioni piacevoli immediate e di conseguenza ne
ha sviluppato un rispetto reverenziale,
acritico.
______________________________________________
Para mi, una de esas experiencias que considero
personalmente más frustrante y con las quales estoy frecuentemente en contacto por mi trabajo
clinico, se refiere a ser testigo de la ineluctabilidad con la cual se puede
reforzar y trasmitir el malestar psicológico, difundiéndose como mancha de
aceite imperturbable, de una generaciòn a la otra.
En el espacio en donde ejerzo mi trabajo de psicoterapeuta, entre las
tantas historias que me cuentan acerca de la dificultad de vivir, muchas de éstas me ponen en
estrecho contacto con personas que cargan consigo narraciones de vida
construidas alrededor y desde el abuso de substancias. Son generalemente
jovenes adultos que provienen de recorridos de infancias heridas e infelices.
Individuos que han crecido dentro de procesos evolutivos con efecto deformador,
en los cuales han vivido experiencias de abandono, de abuso y/o de descuido. Lo
que más me golpea es, comprobar cuánto frecuentemente sucede que cuando
estas personas devienen genitores, actúen comportamientos que llevan a
definirlos como unos “malos genitores”: no confiables e ausentes. Incapaces de
proponer modalidades de relación de cuidado y afecto, alternativas a aquellas
que ellos mismos recibieron, actuando por lo tanto en forma tal que trasmiten
intergeneracionalmente a sus hijos aquello que de doloroso y malsano han vivido sobre su
propia piel.
En efecto, casi como si hubiese una coerciòn a repetir,
son repropuestos modelos y estilos de relación que no pueden ignorar, a pesar
de que éstos tengan los mismos efectos pragmáticos de sufrimiento, abandono y
descuido sobre sus hijos, semejantes a las experiencias sufridas por ellos
mismos. Es asi que terminan por
transmitir una cadena dolorosa de comportamientos, de relaciones y de emociones
que aprisionan y condicionan sus hijos, y que no siempre son dispuestos a
interrumpir. Como si el ser genitores crease la condición de estar a
contacto con “verdades” frente a las cuales es imposible diferenciarse, por
ende se hace necesario, o confirmar la propia incapacidad a absolverla huyendo
de la posibilidad de ser una figura afectiva de referenzia nutritiva y cercana
o sino repitiendo acriticamente aquellos comportamientos sufridos como hijo.
Este modo fatalista y compulsivo de actuar tiene que ver con la ingerencia de
creencias y prejuicios en base a los cuales cada ser humano construye su
identidad y que no siempre està dispuesto a poner en discusiòn; màs aùn si con
ellas (paradojalmente) ha aprendido a obtener aseguraciones placenteras
inmediatas y consecuencialmente ha desarrollado un respeto reverencial,
acritico.